Giovanna Badalassi
E anche quest’anno il 25 novembre è arrivato. Una ricorrenza, quella della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che lascia sempre sentimenti ambigui in chi ha questo tema a cuore: da una parte si è contente che si parli di questa tragedia sociale, familiare e personale.
D’altra parte il fiume di parole che scorre copioso in questa giornata non è sempre di qualità e troppo spesso retorico. Si vorrebbero più fatti e meno parole.
Ecco, appunto. Le parole.
Come diceva Nanni Moretti, “Le parole sono importanti”, sono le colonne d’Ercole attraverso le quali dobbiamo passare ogni volta che dobbiamo definire, affrontare e poi risolvere un problema, anche per quanto riguarda la violenza contro le donne: finché non è stato inventato il termine “femminicidio” il reato specifico non esisteva neppure, così come lo Stalking.
Per ricordare a nostro modo il 25 novembre, ecco allora la nostra rivisitazione ragionata e in ordine sparso, delle 10 parole secondo noi più importanti di questa giornata:
Violenza:
l’etimologia ci ricorda che questa parola, che significa, letteralmente “forza eccessiva”, ha al suo interno la radice di “vis”, vittoria. Ogni volta che un uomo violenta una donna, quindi, “vince”. Una parola più guerrafondaia e patriarcale di questa, in effetti, non potevamo trovare per descrivere il fenomeno
Uomini
gli autori. Spesso trattati nella narrazione mediatica o come nemici anonimi, o come alieni sbarcati da Marte. Se in Italia sono 6 milioni e 788 mila le donne tra i 16 e i 70 anni vittime di violenza almeno una volta nella loro vita, lo vogliamo dire che tra i nostri 60 milioni di italiani, oltre alle summenzionate vittime, si aggirano impuniti e, soprattutto, a piede libero, una qualche milionata di uomini violentatori? Vogliamo, inoltre, ricordare che la maggior parte di questi sono stati a loro volta vittime di violenza assistita da piccoli e che, insomma, prevenire la trasmissione intergenerazionale della violenza è fondamentale
Genere:
parola oramai inflazionata e abusata. Eppure è ancora lì, a ricordarci che una cosa sono gli organi riproduttivi con i quali nasciamo, un’altra l’identità, le capacità, i ruoli e le responsabilità che assumiamo nella società, che solo in parte ci scegliamo, e che in gran parte, invece, ci vengono imposti da modelli comportamentali predefiniti e stereotipati. L’etimo ha in sé il concetto di “produrre e generare, nascita”. Ci piace pensare che la parola genere porti con sé una rigenerazione, un cambiamento permanente nella ridefinizione delle identità. Superare la violenza sulle donne significa consentire loro di definire il proprio genere e, attraverso questo, essere persone libere
Famiglia:
è la parola sulla quale è davvero fondata la nostra Repubblica. Altro che il lavoro. Siamo fondati sulla famiglia, piccoli staterelli autonomi e autocratici che provvedono a tutti i bisogni. Un universo chiuso e impenetrabile nel quale nessun estraneo può entrare. Una fortuna per le famiglie coese, una disgrazia per le famiglie conflittuali e per le donne che vi vivono. Nella parola famiglia c’è il concetto di “casa”. Se si vuole affrontare in modo sistematico la violenza sulle donne, dobbiamo mettere in discussione anche il modello patriarcale e autocratico della famiglia, ridefinire i confini tra privato e pubblico e arrivare alla consapevolezza collettiva che una donna violentata è un problema pubblico che riguarda tutti
Educazione:
Educare non è parlare forbito e stare composti a tavola ma, letteralmente, e-ducere. Tirare fuori il meglio . I nostri uomini non sono educati abbastanza alla bellezza interiore, non gli viene insegnato né a coltivarla né, tanto meno, ad esprimerla. Certo, non aiuta vivere in famiglie dove i genitori si mangiano la faccia e mamma le prende (e qui torniamo alla trasmissione intergenerazionale). Per questo la scuola è fondamentale. Una scuola che sappia anche “educare” e non solo formare
Rispetto:
è una parola composta da “re”, cioè, “di nuovo e addietro”, e “spicere” cioè “guardare”. Il senso di questa parola include quindi anche il guardare dietro o il guardare di nuovo. Vedere le persone una volta di più, vederle veramente, nel profondo. Rispettarsi è guardarsi con gli occhi della reciproca verità, e scoprirsi ogni volta per quello che davvero si è. Significa per gli uomini saper vedere le donne nella loro umanità soggettiva e per le donne saperlo pretendere. Il rispetto per sé stesse, inoltre, significa per le donne anche il sapersi guardare nella misura giusta, con il livello di autostima corrispondente al proprio essere, conoscere i propri bisogni. E’ un salva-vita indispensabile e una strada maestra per la libertà, nostra e delle nostre figlie e figli
Cura:
la filosofa Joan Tronto la definisce come l’attività che “ripara il mondo”. E’ curioso che gli etimologi non siano d’accordo se in questa parola ci sia la parola latina “cor” (il cuore) la radice “ku” (battere), piuttosto che la radice “Kau” (osservare, guardare) o dalla radice sanscrita “Kavi” (assennato, saggio). Chiunque abbia ragione, siamo d’accordo che sia una gran bella parola. A noi piace pensare che ci sia dentro il cuore. La violenza contro le donne, tra tutte le sue declinazioni, è anche assenza di cuore e visione distorta e malata di cura. La si combatte e la si supera con la cura vera, quella del cuore e degli occhi pieni di affetto di chi aiuta le vittime e i loro figli. Curare le donne vittime violenza è davvero riparare il mondo
Costi:
La violenza contro le donne costa. Alle vittime, un costo umano ed esistenziale atroce, ai loro figli, un costo di infelicità attuale e futuro, ma anche allo Stato e alla società nel suo complesso. E’ possibile calcolare quanto costa la violenza? Ci abbiamo provato, assieme alle colleghe di We World: 17 miliardi ogni anno. Costi diretti dei servizi sanitari, giudiziari, sociali, ecc, ma, soprattutto, il risarcimento che riconoscerebbe un Tribunale se misurasse il danno subito dalle donne vittime di violenza con gli stessi parametri usati per le vittime degli incidenti stradali
Ricavi:
Se la violenza porta con sé costi umani, sociali ed economici che si ingigantiscono con un processo moltiplicatore, contrastarla e prevenirla, al contrario, produce effetti benefici che si moltiplicano in una sequenza virtuosa che genera benessere, cura e “riparazione” per tutti. Un impatto moltiplicatore, uno SROI, stimato, sempre da We World, in 9,05 volte. Praticamente spendendo 284 milioni di euro in costi annuali e 84 milioni di euro in investimenti per servizi di prevenzione e contrasto della violenza in Italia si produrrebbero ricavi sociali per 1.048 milioni di euro. Molto.
Donne:
Ed eccoci qui. Noi. La storia non si ferma, e la storia dice che tra alti e bassi l’empowerment delle donne nella società è solo destinato a crescere. Anche la violenza contro le donne è destinata, di conseguenza, a diminuire. Non sarà per niente facile, perché bisogna cambiare tutto. Per ridurla a numeri insignificanti occorre proprio rovesciare il tavolo, cambiare le regole private e pubbliche della convivenza. Ci vorranno quindi ancora molti anni, ma ci riusciremo. In fondo, la parola donna ha in sé il significato di “signora” in quanto “domina”, padrona. A pensarci, siamo già padrone del mondo, perché ci partoriamo tutta l’umanità. Arriverà un giorno che diventeremo tutte pienamente, e consapevolmente, anche padrone di noi stesse.