“Le tasse sono un vero tema femminista, poiché sostengono (o dovrebbero sostenere) il welfare. Per quanto fastidiose, sono (quasi sempre) giuste e vanno pagate. Le tasse che invece non si vorrebbe pagare sono quelle che discriminano le donne come consumatrici” (Signora economia, p. 63)
Nel nostro libro “Signora economia- Guida femminista al capitale delle donne ” uscito il 18 settembre 2024, e che trovate in libreria e anche qui, avevamo tantissimo da dire (e da scrivere) e quindi approfittiamo del lancio del libro per approfondire con una serie di post alcuni argomenti per noi importanti. Oggi parliamo infatti della mitica Pink Tax, che purtroppo non si ferma ai semplici rasoi rosa.
Potevamo in un libro – il nostro, Signora economia – che parla di economia femminista non parlare di Pink Tax? Certo che no! Infatti la Pink Tax si riferisce a prodotti (come il “celebre” rasoio rosa) e servizi (taglio di capelli, tintoria ecc.) che quando sono “per donne” costano di più quelli “per uomini”, e che può alla lunga rappresentare un peso economico non indifferente per le donne, che già guadagnano meno degli uomini. Un esempio classico di Pink Tax è quello degli assorbenti mestruali: in Italia l’Iva su questi prodotti è stata abbassata dal 22% al 5%, per poi aumentarla di nuovo fino al 10%.
Nello stato di New York invece dal 2020 la Pink Tax è stata proibita e a qualunque tipo di business viene impedito di stabilire un prezzo diverso per beni simili tra loro solo sulla base del genere della cliente. In caso di infrazioni, si paga una multa.
Tuttavia, la Pink Tax assume anche forme più drammatiche: proprio negli USA, in cui dal 2022 il diritto all’aborto non è più garantito a livello federale, negli stati più conservatori è diventato virtualmente molto difficile (o quasi impossibile) abortire, anche nei casi in cui è necessario un aborto terapeutico, mettendo a rischio la vita di molte donne. Questo mancato accesso all’aborto negli stati governati dai repubblicani è un’altra devastante tassa che grava sulle donne: sia quelle che non vogliono diventare madri, sia coloro che invece lo vorrebbero. È innanzitutto una tassa sulla salute fisica e mentale: al di là del rischio di morire per complicazioni di una gravidanza voluta a causa del mancato intervento del personale sanitario, uno studio ha dimostrato che le donne a cui è stato negato l’aborto per gravidanze indesiderate e che hanno poi partorito hanno riportato più problemi di salute rispetto a quelle che hanno abortito. Il mancato accesso all’aborto si traduce anche in costi economici aggiuntivi: normalmente un aborto nel corso del primo trimestre costa sugli 800 dollari, e un caso riportato dal NY Times fa riferimento ad un costo totale per un aborto di 10.000 dollari.
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