In un periodo così funestato da notizie terribili, oggi vorremmo invece darne una che speriamo rasserenerà gli animi: tranquille/i, negli ultimi 4 mesi l’Italia non è stata bombardata. Niente atomiche o missili terra-aria, neanche bombettine light: proprio niente di niente.
Ci premeva ricordarlo perché, a leggere il poderoso piano di investimenti infrastrutturali presentato dal Governo, parrebbe invece che la “guerra” al Coronavirus abbia lasciato l’Italia derelitta sotto una montagna di macerie fumanti, e che ora tocchi procedere ad una gigantesca ricostruzione di strade, ferrovie, ponti, dighe e quant’altro.
Il COVID19, però, non è stata una guerra, bensì una crisi di cura,
che ha provocato certo una quantità insopportabile di morti ma che ha lasciato indenni le nostre pur tremebonde infrastrutture.
E’ stata una crisi relativa alle persone, quindi, che ha reso centrali e strategiche almeno per i prossimi due anni le attività di carattere sanitario per affrontare altre possibili ondate del virus e che ha spazzato via dall’oggi al domani tutti quei lavori di relazione e di cura che le donne, tanto per cambiare, svolgono in gran numero, come il turismo, la ristorazione, l’alberghiero, il commercio, i servizi per l’infanzia, i servizi domestici, ecc
La nostra classe dirigente, invece, preferendo la metafora bellica non solo nel linguaggio, ha sparato le prime e più pesanti cartucce per favorire la ripresa scommettendo sugli investimenti in infrastrutture.
Per la precisione 200 miliardi per ricostruire un sistema viario, ferroviario ecc, in effetti in agonia da più di 50 anni. Una somma ingente che produrrà un’occupazione composta al 93,4% da uomini, dal momento che tale è la loro presenza nel settore edilizio (Istat, 2019)
Direte: però c’è bisogno di questi investimenti, l’Italia sta cadendo a pezzi.
Vero!
È però come quel paziente affetto da diabete da parecchi anni che comincia a prendere le medicine solo dopo un infarto, che invece trascura.
Si muore sia di diabete non curato che di infarto non curato; per le priorità ed urgenze, vedete un po’ voi.
Ed è così che i soldi per il MES, 36 miliardi che andrebbero tutti alla sanità, diventano petali di una margherita staccati ogni giorno da tutte le forze politiche all’insegna del “li prendo, non li prendo” mentre gli specializzandi, che sono stati determinanti per la soluzione della crisi ospedaliera, devono manifestare per chiedere più borse di specializzazione.
Ma tranquilli, che per la sanità abbiamo tempo. Per il turismo? Eh ma come si fa. Per la ristorazione? Vabbè. La scuola? Sereni. I servizi Sociali? Calmi. I Centri antiviolenza? Ma la violenza c’è sempre stata, che fretta c’è.
Le infrastrutture? Eh, qui no, abbiamo aspettato troppo, tocca correre e recuperare.
Ci mettiamo 200 miliardi, tutti d’accordo nello spenderli, tutt’al più si litigherà per la selezione delle grandi opere da ricostruire. Certo, lo sappiamo già, non sarà così facile, subentrerà anche qui il genio italico, e chissà quando mai verranno effettivamente spesi, questi soldi: il “salvo intese” alla fine è un po’ come dire “a babbo morto”.
Però questo confronto sul diverso grado di urgenza e di criticità percepita degli interventi dà la misura di quanto sia ancora patriarcale la nostra economia e il nostro sistema politico.
Dopo una sberla così forte come quella del COVID19, cosa deve infatti ancora succedere perché un piano straordinario di welfare e per l’occupazione femminile, che pure è stato chiesto, abbia finalmente la precedenza su tutto?
Niente, purtroppo.
E guardate che si tratta di scelte che vanno in direzione ostinata e contraria non solo rispetto alla realtà delle emergenze, ma anche riguardo a numerosi studi che misurano come il PIL e l’occupazione possano aumentare pure in molti altri modi, spesso anche più efficaci, che non siano solo fare le grandi opere.
Come abbiamo già scritto, ad esempio, secondo una ricerca del Womens’ Budget Group, se in Italia si investisse lo 1,9% del PIL nel settore delle costruzioni e dell’edilizia si avrebbe un aumento di 224.297 occupati. La stessa cifra spesa invece per servizi di cura produrrebbe un ben maggiore incremento di 508.276 persone con, tra l’altro, un maggiore recupero del gap di genere (9%).
Le motivazioni della ragione, quindi, evidentemente non bastano.
C’è un dato culturale di percepito e di immaginario, anche relativo ad anacronistici ed ingiustificati rapporti di forza economica,
che ostacola una visione collettiva capace di vedere la realtà e di immaginare soluzioni diverse da ricette economiche talmente standard da essere oramai automatiche.
Non vogliamo però cadere nella facile trappola del tipico vittimismo femminile: anche noi donne abbiamo una parte in tutto questo.
Ricordiamoci infatti che abbiamo pur sempre più del 50% dei voti, e che quindi queste scelte vanno bene anche alla stragrande maggioranza delle elettrici.
Non ci vorrebbero infatti delle elezioni-da-fine-del-mondo per cambiare le cose: state certe che se i sondaggi mostrassero già oggi un diverso orientamento dell’elettorato femminile ci sarebbe subito una qualche forza politica interessata a rappresentarlo.
Per ora, però, non se ne vede traccia.