La notizia, riportata sul New York Times del 18 marzo, è che anche le economiste sono spesso vittime di molestie e abusi. E, tanto per cambiare, non si sorprende nessuno, dato che le molestie sul luogo di lavoro non sono affatto rare.
La situazione è piuttosto seria: secondo la ricerca della American Economic Association “circa 100 economiste riportano che un collega le ha aggredite sessualmente, circa 200 riportano di essere state vittime di una tentata aggressione”. E come se non bastasse, centinaia dicono di essere state vittime di stalking o di essere state toccate in modo inappropriato.
Non solo, alcune intervistate hanno anche riportato di evitare di parlare a convegni per il timore di venire molestate o comunque di essere trattate in modo poco rispettoso.
Le conseguenze, oltre a quelle dovute direttamente alle molestie, sono l’esclusione o comunque la non valorizzazione del contributo delle economiste alla propria disciplina, nonchè possibili difficoltà nel fare carriera. Se alcune economiste non parlano ai convegni e se hanno timori riguardo alla propria sicurezza con i colleghi, è evidente che non sono messe nella condizione migliore per lavorare.
La situazione diventa ancora più critica per le economiste (e anche per gli economisti) che non sono eterosessuali: gli intervistati e le intervistate non etero riportano infatti maggiori livelli di discriminazione e di mancanza di rispetto da parte dei colleghi.
I dati non dovrebbero stupire più di tanto, dato che la professione è per lo più dominata da uomini (bianchi) e quindi non c’è molto spazio, per chi ha un’ identità differente, in termini soprattutto di genere e di razza.
L’ American Economic Association, giustamente allarmata dalla situazione, ha già preso provvedimenti, tra i quali l’elaborazione di un codice di condotta professionale, e la possibilità di indagare (e sanzionare) chi viola il codice professionale contro le molestie.
In tempi in cui si parla (e straparla) dell’importanza della diversity sul luogo di lavoro e in varie discipline, è importante riflettere sul fatto che a conti fatti, c’è ancora molta strada da fare. Se non si cambia la cultura dominante in un determinato settore o luogo di lavoro, chi è “diverso/a” rischia serie conseguenze a livello personale e professionale.