Come stanno e come trattiamo le nostre bambine e bambini?
E’ una domanda alla quale noi di Ladynomics cerchiamo di rispondere da quattro anni grazie alla collaborazione con CESVI sull’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia, una ricerca alla quale teniamo molto e che speriamo vorrete leggere qui.
Oggi abbiamo infatti presentato i risultati di un’edizione davvero speciale: oltre all’aggiornamento annuale dell’Indice, quest’anno abbiamo infatti affrontato anche le conseguenze del Covid sulla salute mentale dei più giovani e dei loro genitori, grazie ad un Focus che ci ha permesso di ascoltare su questo tema la voce e l’esperienza di testimoni privilegiati, esperti e psicologi/ghe.
L’indice, intanto ricordiamolo, è il risultato di una sintesi di 64 indicatori territoriali relativi ai fattori di rischio e ai servizi di prevenzione e contrasto
che permette di misurare i punti di forza e di debolezza delle varie regioni rispetto al maltrattamento all’infanzia, offrendo così delle indicazioni precise ai decisori politici e sociali rispetto a dove e come intervenire. I 64 indicatori, scelti sulla base della letteratura internazionale, sono aggregati in 6 capacità e riguardano non solo i sintomi nei bambini/e che possono far pensare al maltrattamento, ma soprattutto le condizioni di vita, salute, sicurezza, istruzione, lavoro e disponibilità di risorse dei loro genitori che possono rappresentare un fattore di rischio in questo senso e che possono essere migliorate attraverso i servizi pubblici.
La quarta edizione dell’Indice restituisce una fotografia di un paese che è arrivato alla pandemia impreparato rispetto all’aumento del rischio di maltrattamento all’infanzia che si sta manifestando.
L’Italia si conferma infatti anche quest’anno un paese a due velocità. Le otto regioni del Nord Italia sono tutte al di sopra della media nazionale, mentre nel Mezzogiorno si riscontra sempre un’elevata criticità: le ultime quattro posizioni dell’Indice sono occupate da Campania (20°) Sicilia (19°), Calabria (18°) e Puglia (17°). La regione con maggior capacità di fronteggiare il fenomeno del maltrattamento all’infanzia è invece il Trentino-Alto Adige, che quest’anno per la prima volta supera l’Emilia-Romagna, grazie ad un netto distacco dalla media nazionale rispetto ai fattori di rischio. L’Emilia-Romagna, pur confermandosi la regione con il sistema di servizi più impegnato nella prevenzione e cura del maltrattamento all’infanzia, perde la prima posizione dopo tre anni sul podio, a causa di un peggioramento dei fattori di rischio. Seguono Friuli-Venezia Giulia (3°), Veneto (4°) e Umbria (5°).
Nell’incrocio tra indice dei fattori di rischio e quello dei servizi, quest’anno non si trova alcuna regione nel cluster delle regioni “reattive”,
ovvero che rispondono alle elevate criticità nei fattori di rischio con servizi al di sopra della media nazionale. Rispetto all’anno scorso, la Sardegna è infatti arretrata sulla media nazionale per i servizi, mentre l’Umbria ha registrato un miglioramento nei fattori di rischio che l’ha collocata al di sopra della media nazionale. Tra le regioni “virtuose” – con bassi fattori di rischio e un buon livello di servizi sul territorio – oltre all’Umbria, troviamo sei delle sette regioni della precedente edizione dell’Indice (Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana) insieme alla Valle d’Aosta e al Piemonte. Tra le regioni “stabili” si trova solo la Lombardia.
Questa la fotografia del nostro paese all’inizio della pandemia. Cosa è successo dopo? Quali conseguenze ci sono state sulla salute mentale, nostra e delle nostre bambine ed bambini?
Dalle interviste che abbiamo condotto con i nostri testimoni privilegiati è emerso chiaramente come la pandemia abbia avuto conseguenze importanti anche sulla salute mentale di tutti e dunque anche sul rischio di maltrattamento dei bambini e delle bambine.
A pagarne il prezzo più alto sono stati infatti i più fragili, rispetto ai quali il prolungarsi della pandemia ha reso cronica e strutturale l’emergenza della prima ondata, logorandone lentamente la capacità di resilienza e resistenza psicologica.
Nelle interviste è emersa infatti l’opinione condivisa dell’esistenza di uno specifico «trauma collettivo da Covid-19» che ha agito da detonatore di disagio, in special modo tra le persone e le famiglie già fragili o con traumi pregressi.
È infatti aumentata in modo preoccupante la conflittualità, la violenza contro le donne e la violenza assistita e subita dai minori. Se si considera che la casa rappresenta il luogo più pericoloso (tra il 60/70% dei bambini/e tra i 2 e i 14 anni di età ha vissuto episodi di violenza emotiva da parte dei propri caregiver) è facile intuire come i periodi di lockdown abbiano costituito una aggravante per questi comportamenti. Nell’ultimo anno è aumentato in modo importante lo stress negativo sullo stato di salute mentale di genitori e bambini/e, legato a fattori quali la paura di ammalarsi, i minori contatti sociali, le preoccupazioni economiche e l’insegnamento online. Sono aumentati i casi di burnout genitoriale, situazione in cui è stato dimostrato essere più probabile che i bambini e le bambine vengano maltrattati anche in presenza di fattori protettivi quali, ad esempio, il livello di reddito o di istruzione.
Il 43% degli italiani e delle italiane, inoltre, ha riportato un peggioramento della salute mentale nell’ultimo anno, con una sofferenza allarmante soprattutto per gli adolescenti.
Il Covid-19 rappresenta, dunque, un potente fattore di rischio per il maltrattamento all’infanzia: un quadro tanto più preoccupante se si considera che il fenomeno emergerà in tutta la sua portata solo quando la pandemia sarà conclusa. Ad aggravare il quadro complessivo, alcune ricerche sull’impatto del Covid-19 sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti mostrano un aumento nelle richieste di aiuto psicologico, un peggioramento di disordini alimentari, episodi di aggressività ed un aumento dei tentativi di suicidio di ragazzi/e, specie durante la seconda ondata della pandemia: dall’ottobre del 2020 fino ad oggi sono aumentati del 30% i tentativi di autolesionismo e di suicidio da parte degli adolescenti.
Di fronte a questa situazione, l’unica soluzione è rafforzare la resilienza.
La cura della salute mentale, di tutti e soprattutto dei più deboli, passa attraverso lo sviluppo della resilienza, un processo psicologico che permette di reagire in modo positivo alle avversità, trasformandole in occasioni di crescita. Non si tratta di una capacità innata, ma piuttosto di una capacità che può essere sostenuta e sviluppata, negli adulti e nei bambini/e grazie al supporto della famiglia, della comunità e dei servizi. La resilienza diventa quindi una capacità chiave da sostenere soprattutto durante una pandemia, attraverso la (ri)costruzione di un sistema di servizi in grado di affrontare e curare questo malessere diffuso, creando i presupposti per la crescita di fattori adattivi e protettivi indispensabili. Rafforzare la resilienza significa ad esempio promuovere l’autosorveglianza, i percorsi di cura del trauma, la narrazione, l’educazione socio-emotiva per adulti e per i bambini che devono trovare nella scuola un supporto di cura e attenzione rafforzato e attento.
Le raccomandazioni finali di Cesvi:
Se il Covid-19 sta generando un trauma collettivo anche il sistema di cura deve svilupparsi innanzitutto collettivamente per poi raggiungere attraverso i servizi, anche le famiglie e le singole persone. È quindi indispensabile:
- adottare un approccio multidimensionale e di medio-lungo termine per le politiche di prevenzione e contrasto al maltrattamento.
- riconoscere e raccontare il trauma collettivo da Covid-19 per curare la salute mentale di adulti e bambini/e anche in un’ottica preventiva.
- ristrutturare il sistema dei servizi di cura nell’ottica della resilienza per:
- rinforzare tutti i servizi socio-assistenziali per l’infanzia e la famiglia al fine di sviluppare la resilienza in tutte le fasi di sviluppo e crescita dei bambini/e.
- integrare i servizi di salute mentale specialistica con i servizi che sviluppano l’approccio psicosociale.
- inserire nuove figure di psicologi nella scuola e nella medicina di base.
- sviluppare nuove tecniche e protocolli per la cura del trauma del Covid-19
- promuovere un nuovo sistema di governance territoriale
- implementare un sistema informativo puntuale sul tema del maltrattamento all’infanzia.
- investire in personale, formare e curare i curanti
In estrema sintesi, il “Tempo della cura” è adesso.
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