Si festeggia oggi in tutta Italia il 25 aprile, la festa della Liberazione che come ogni anno celebriamo con manifestazioni, ricordi e racconti, spesso emozionanti e struggenti.
Noi di Ladynomics vorremmo festeggiare questo giorno a modo nostro, oltre o, se volete, al di fuori della narrazione “tradizionale” quasi interamente declinata al maschile: uomini erano infatti coloro che questa guerra l’hanno voluta, decisa, combattuta, vinta e persa. Ho detto quasi: ci sono state, eccome, eroiche partigiane, e il loro fondamentale contributo è stato anche quello che ha aperto alle donne le porte dell’Assemblea Costituente e, poco dopo, le ha condotte al voto. Si tratta di donne che hanno combattuto nel perimetro degli eventi determinati dagli uomini e dalle loro regole di patriarcato. Per questo la memoria delle loro gesta è tramandata nei libri di storia.
Esiste, però, anche un’altra storia, parallela a quella ufficiale, che ha visto tutte le donne, soprattutto madri, nonne, cognate, suocere e nuore, protagoniste della battaglia per la sopravvivenza. Un’esperienza umana collettiva che non troveremo mai nei libri, perché fa parte di quel mondo femminile nel quale vigono le regole silenti del matriarcato.
Parliamo ad esempio di tutte quelle donne che hanno combattuto quotidianamente per mandare avanti la famiglia e trovare qualcosa da mettere sul tavolo. Mercato nero, baratto, scambio, nascondigli, favori. Pane nero. Minestre di ortiche. Burro e sapone fatti in casa. Tutto è stato fatto pur di trovare da mangiare. Il tutto in splendida solitudine e con l’ansia per gli uomini al fronte, per non parlare di altri pericoli.
Oggi vogliamo quindi ricordare e rendere onore alle donne che in quegli anni hanno tirato su figli, nipoti, accudito vecchi, cibato, curato e pulito intere generazioni, salvando l’anima e il futuro di un paese in ginocchio. Ci piace ricordarle con una storia vera, che vale per tutte quelle altre che popolano i racconti nelle nostre famiglie.
Elena, la chiameremo così, era una madre di famiglia sfollata nella campagna del Basso piemontese, nel paesino di origine, dove tutti conoscevano sia lei che la sua famiglia. Una famiglia talmente per bene e gentile, che con i parametri di oggi la definiremmo ai confini della fesseria. Suo figlio, che chiameremo Andrea, anche lui persona mite e cortese, aveva scelto la carriera militare, pensando che servire il Re e giurargli fedeltà fosse cosa ben diversa e altra che diventare fascista. Stufo di fare a botte con le camice nere ogni domenica e di non trovare lavoro perché non voleva prendere la tessera, si era quindi arruolato, si era fatto la sua guerra d’Africa, e poi era rientrato in Italia giusto in tempo per non farsi mancare anche la Seconda Guerra.
Elena, che stava sfollata nel paesino con la nuora, la nipote e un numero imprecisato di altri familiari, un giorno, non si sa bene come, entrò in possesso di una preziosa damigiana di olio. Ora, dovete capire. Una damigiana dell’olio in quel periodo era ben più preziosa dell’oro. L’olio serviva per dare nutrimento ai bambini, salvarli dalla denutrizione e dal rachitismo. Era una fortuna talmente sbalorditiva che Elena si vergognò di tenerla tutta per sé, e pensò anche ai figli delle altre donne del paese. Riempì quindi delle piccole bottiglie di olio e le dette ad alcune madri con i bambini piccoli, nell’incredulità degli altri membri della famiglia. I quali, l’abbiamo detto, erano anche loro brave persone, ma, insomma, proprio fino a quel punto, pareva un po’ esagerato. Anche perché Elena non si fece domande sulla fede politica di nessuno, che fossero famiglie di partigiani o fascisti, non è che decise che non gliene importava, è che proprio non si pose la domanda. Pensò ai bambini e basta.
Potete immaginare la sorpresa delle destinatarie di questo regalo, che alimentò solo la considerazione che c’era in paese per Elena e la sua famiglia.
Poi un giorno si venne a sapere che Andrea sarebbe riuscito a tornare al paese a trovare sua mamma e sua moglie e sua figlia. Non si prefigurava certo un ritorno con la banda e il comitato di accoglienza: eravamo in quei giorni lì, non si sa bene se prima o dopo il 25 aprile, ma insomma, tirava una gran brutta aria per i militari. D’altronde era un momento di confusione, esasperazione, malnutrizione. Sbroccavano un po’ tutti. Girava voce che i partigiani aspettassero Andrea per dargli una lezione che non avrebbe dimenticato. Oh chiariamo. Andrea era una gran brava persona, ma non è che se ne starebbe stato lì a prenderle, eh. Era addestrato militarmente, le scazzottate giovanili con i fascisti lo avevano temprato, e una bombetta a mano in tasca, giusto per precauzione, ce l’aveva sempre. Insomma, in paese c’erano ottimi motivi per immaginare una bella carneficina.
Ed è lì che per una volta, ma chissà quante altre volte sarà successo che non sappiamo, per una volta, dicevo, il matriarcato ha imposto le sue regole.
Le madri dei partigiani alle quali Elena aveva regalato l’olio organizzarono una intelligence parallela, la informarono di quello che volevano fare i figli e le spiegarono come lo volevano fare, dove avrebbero fatto l’appostamento, dove lo aspettavano.
Elena, da par suo, consapevole che anche Andrea avrebbe potuto fare dei bei danni ai figli delle altre, riuscì, anche qui non si sa bene come, a fargli fare strade diverse, in orari diversi, in modo che nessuno si facesse male.
Dovremmo concludere che vissero tutti felici e contenti, ma la realtà non è mai così rosea come vorremmo. Il dopoguerra fu pesantissimo per tutti. Ma almeno gli uomini protagonisti di questa storia non si accopparono in un duello da mezzogiorno di fuoco e tutte le donne tirarono un bel respiro di sollievo.
Ecco, a noi piace pensare che dietro l’orrore della seconda guerra, ma anche dietro le terribili difficoltà del dopo guerra, donne come Elena e le sue compaesane abbiano tenuto insieme l’anima del paese, e che sia stato davvero grazie alla loro resistenza umana che si siano potute gettare le fondamenta della ricostruzione. Una ricostruzione che non è stata solo di strade bombardate e palazzi sventrati, ma anche di anime spezzate, pensieri stravolti e dignità perse.
I libri di storia ricordano giustamente l’importante amnistia voluta e firmata da Togliatti nei confronti dei gerarchi fascisti, per consentire la pacificazione nazionale e poter riprendere le fila di una convivenza civile in un paese dilaniato.
A noi, in quella dimensione privata e familiare che non finirà mai nei libri di storia, piace ricordare che per quei milioni di donne che hanno vissuto quegli anni secondo le regole del matriarcato non ci sia stato bisogno di alcuna pacificazione perché, loro, alla fine, non hanno mai dichiarato guerra a nessuno.
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IL 25 APRILE E LA RESISTENZA DELLE MAMME AI TEMPI DELLA GUERRA
di Giovanna Badalassi | 25 Aprile 2018