Che l’economia non funzioni per le donne è abbastanza evidente, e una ricerca condotta quest’anno negli USA lo conferma.
Le donne intervistate hanno individuato come maggiori ostacoli alla mobilità economica l’inflazione (il 54% delle intervistate), la difficoltà ad arrivare a fine mese (il 44% delle intervistate) e i costi legati alla casa che assorbono una larga percentuale del reddito delle donne (il 42% delle intervistate).
Le preoccupazioni riguardo all’inflazione e alle difficoltà economiche sono in linea con quanto ormai si è ampiamente osservato negli USA e nel resto del mondo: secondo il World Economic Forum, nel corso degli ultimi due anni, i prezzi dei prodotti destinati alle donne sono aumentati ancora più rapidamente rispetto a quelli destinati agli uomini, e se consideriamo che le donne sono in media meno ricche degli uomini, è facile comprendere come l’inflazione abbia un impatto più pronunciato sulle donne rispetto agli uomini.
A fronte di questa situazione, le intervistate hanno anche individuato politiche che renderebbero possibile un’economia per le donne: orari lavorativi flessibili (49% delle intervistate), supporto da parte del settore pubblico e privato per affrontare il carovita (47%), un maggiore accesso al lavoro da remoto (46%), l’aumento del salario minimo (42%), l’eliminazione del divario di genere nei salari (33% delle intervistate), e la promozione di più donne in posizioni di leadership (29%).
Da questa ricerca emerge non solo che le donne sono spesso poco ascoltate quando si tratta di definire le politiche economiche di un paese, ma anche che queste problematiche (e soluzioni) sono state individuate con un ampio consenso da donne di background molto diversi dal punto di vista etnico, economico e culturale. Come ha affermato una ricercatrice che ha partecipato allo studio: “La cosa più importante per me è che tra le donne ci sono molti più punti in comune che differenze… anche per quanto riguarda l’identità politica.”