×

E se le donne fossero (più) brave con i soldi? 

di Cristiana Scoppa | 21 Giugno 2022

Pubblichiamo con molto piacere questa intervista di Cristiana Scoppa a Giovanna Badalassi. Potete leggerla in inglese sul sito di Medfeminiswiya- Mediterranean Network For Feminist Information: And what if women managed money?

Qualche mese fa Veronica (nome di fantasia per ragioni di privacy) ha perduto la mamma. Insieme al grande dolore le sono rimasti “un po’ di soldi”: sufficienti, se integrati con un mutuo bancario, per uscire dall’incubo degli affitti in continua crescita, dei coinquilini non sempre simpatici, degli sfratti sempre dietro l’angolo. “Ora o mai più”, ha pensato, e per settimane ha compulsato annunci, fissato appuntamenti, visitato appartamenti. Fino a trovare la casa giusta per lei. 

Un lavoro a tempo indeterminato per 20 ore a settimana nel settore pubblico, a cui si aggiunge un lavoro part time, nel settore privato, con un contratto a tempo determinato, le sembravano garanzie sufficienti per il pagamento della rata mensile del mutuo. 

E invece no.

Il diniego della banca è arrivato insieme a una domanda del funzionario che l’ha lasciata allibita: “Non ha un marito?”. Possibile che nel 2022, in Italia, un uomo offra ancora migliori garanzie di una donna quando si tratta di ottenere un credito? 

Parte da qui la conversazione con Giovanna Badalassi, economista, ricercatrice ed esperta di bilanci di genere – quegli strumenti con cui la pubblica amministrazione tenta di analizzare e prevedere l’impatto degli investimenti sulla riduzione del gender gap. Impatto che continua ben al di sotto dei principi di uguaglianza tra uomini e donne sanciti dalla Costituzione. 

Nel 2015 insieme ad un’altra studiosa, Federica Gentile, Giovanna Badalassi ha fondato un blog intitolato, con l’ironia che la/le contraddistingue, Ladynomics, accompagnato dal sottotitolo Per una signora economia. 

Ladynomics passa al setaccio le misure nazionali e internazionali per migliorare la condizione delle donne, a cominciare dalle politiche per il lavoro o per stimolare la creazione di imprese femminili, analizza secondo una prospettiva di genere l’impatto delle crisi economiche e finanziarie, presenta studi e ricerche. Il tutto nutrito da una attenta analisi di dati e statistiche, che servono anche alle due studiose per elaborare proposte politiche concrete.

“Diversamente da quello che si crede, le donne hanno da sempre un rapporto con il denaro”, esordisce Badalassi, che stigmatizza come “decisamente fuori tempo massimo” il commento del funzionario di banca romano a cui si è rivolta Veronica.

“Ma il rapporto delle donne con i soldi è diverso da quello che hanno gli uomini. È un rapporto che io definisco ‘matrimoniale’: iniziava, salvo rare eccezioni, quando ci si sposava e si cominciava a gestire il reddito familiare per fare la spesa e pagare le bollette, cioè per assicurare il benessere quotidiano di tutti i componenti della famiglia.

Far quadrare i conti, far fruttare al massimo i soldi che si hanno a disposizione, negoziare il miglior rapporto qualità-prezzo: tutto questo le donne lo sanno fare benissimo, lo fanno da secoli e sono educate fin da piccole in questa direzione”. 

“Il rapporto degli uomini con il denaro è invece di tipo ‘patrimoniale’, ovvero legato all’acquisizione di beni, al loro accumulo, alla loro moltiplicazione. Per questo è un tipo di rapporto che meglio si confronta con l’astrattezza della finanza, della borsa, in cui i beni da accumulare sono cifre nei conti in banca, beni che si sono completamente smaterializzati, puri flussi di denaro”, continua Badalassi. 

Ladynomics illustra da sempre il diverso modo di pensare e gestire il denaro delle donne, nella ferma convinzione che anche questa modalità “più da contabili, dove i conti devono quadrare e il potere d’acquisto dei soldi è misurato in beni concreti”, abbia un valore economico, oltre che sociale, fondamentale anche rispetto al PIL. 

“Quando abbiamo iniziato Ladynomics, quando abbiamo iniziato a raccontare l’economia nel suo impatto sulla vita delle donne, eravamo delle pioniere assolute”, ricorda Badalassi. “Quello che scrivevamo suonava totalmente nuovo”. E questo nonostante decenni di letteratura femminista che, a partire dalle campagne per il salario al lavoro domestico, ha evidenziato il valore economico del lavoro non retribuito delle donne, il cosiddetto lavoro riproduttivo, che continua a gravare in maniera preponderante sulle spalle delle donne. 

Oggi, due anni e mezzo dopo lo scoppio della pandemia da Covid19 che ha avuto conseguenze molto più pensati per le donne, “la consapevolezza che l’economia non è neutra, che ha un impatto diverso su uomini e donne, e che la vita delle donne, compresa quella nello spazio domestico, ha un suo valore economico, è cresciuta enormemente”, afferma Badalassi, “ed è diffusa in tutti gli ambienti, non solo nell’élite di donne consapevoli e impegnate sulla scena pubblica a cui si rivolgeva inizialmente il nostro blog”. 

La Conferenza di Pechino, ovvero la quarta Conferenza delle Nazioni Unite sulle donne del 1995, è stata il culmine di un percorso globale che ha sdoganato ovunque il concetto di gender equality, uguaglianza di genere, una specie di ossimoro per tenere insieme la necessità di superare le discriminazioni esistenti tra uomini e donne e, contemporaneamente, di riconoscere la diversità dei corpi, dei desideri, dei ruoli legati ai generi. Al punto che oggi la diversity, la diversità, è diventata un valore anche nelle imprese.

“Studi recenti sulla diversity”, racconta Badalassi, “hanno dimostrato che quando sono le donne a gestire gli acquisti per conto delle imprese si ha una maggiore propensione a evitare investimenti azzardati, con alti margini di rischio, o non completamente sostenibili. Inoltre le donne tendono ad aumentare la trasparenza, il rispetto delle regole e la legalità, valori che sono molto importanti sui mercati globali”. 

Su Ladynamics Badalassi aveva già presentato uno studio di Transparency International che “incrociando i dati su gender gap e corruzione, ha evidenziato come la corruzione diminuisca nei paesi dove c’è maggiore uguaglianza tra uomini e donne, ovvero dove la percentuale delle donne tra gli amministratori pubblici e nei vertici delle imprese è più alta”, fa notare ancora la studiosa. 

“Questo riflette proprio il diverso atteggiamento culturale con cui vengono educati i maschi e le femmine fin da piccoli”, spiega Badalassi. “Nel caso dei primi si valorizza la capacità di prevalere sugli altri, di vincere anche grazie all’astuzia e usando le persone per i propri fini. Compreso arricchirsi. Tanto è vero che nel linguaggio finanziario le persone si chiamano ‘risorse umane’. Per le donne è l’opposto: il denaro è uno strumento, il fine per cui lo si usa è il benessere delle persone, che è assicurato anche dal rispetto delle regole”. 

Proprio per questo “le donne sono in genere brave amministratrici pubbliche, quando riescono a conquistare la guida di un Comune o di una Regione”, aggiunge Badalassi. Ma le sindache in Italia sono appena il 15 per cento del totale, 1.154 donne su 7.707 uomini. 

Come spesso accade per le situazioni in cui le donne sono discriminate, la responsabilità di questa situazione è attribuita alle donne stesse: a una mancanza di fiducia in se stesse o a una mancanza di competenze. E questo nonostante il 51,4 per cento dei laureati in economia e commercio, già nel 2016, fosse costituito da donne, come aveva documentato una ricerca curata da Maria Corsi per la Società italiana di economia

Così nel 2018 il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria, istituito nel 2017 nell’ambito della collaborazione tra il Ministero dell’economia e il MIUR, Ministero dell’istruzione, università e ricerca, aveva realizzato in collaborazione con la rivista Donna moderna una guida per consentire alle donne di “testare in pochi minuti le proprie conoscenze finanziarie” e spiegare “perché è importante per le donne saper gestire i propri soldi invece di delegare agli uomini questa attività”. E si moltiplicano i corsi di “educazione finanziaria per donne” proposti da diverse associazioni, spesso in collaborazione con gli istituti bancari. 

“Sono iniziative interessanti”, riconosce Badalassi, “ma riflettono un’impostazione fortemente incentrata sull’iniziativa individuale e del capitale privato, che non bastano per stimolare cambiamenti di ordine sistemico. Ci vogliono anche adeguate misure pubbliche e una maggiore presenza delle donne nei luoghi dove si decide, così da creare nuovi modelli di riferimento per le giovani donne e innescare un cambiamento culturale che riconosca e valorizzi i talenti e le attitudini femminili, anziché pretendere dalle donne di adeguarsi a standard e modelli maschili”, sostiene la studiosa. Dopottutto Ladynomics è nata proprio per questo.