Donne e
potere: un argomento appassionante che ultimamente ci ha fatto sperimentare
delle vere e proprie montagne russe emotive. Poche settimane fa disperavamo a fronte di notizie
incentrate soprattutto su uomini che usano male il proprio potere e a fronte
dell’elezione di Bolsonaro, personaggio di destra noto per – tra le altre
nefandezze – essere anti gay e pro tortura.
E però poi il 6 novembre è arrivata una ventata di speranza, con l’elezione
di più di 100 donne al Congresso americano. Si tratta principalmente
di donne democratiche e progressiste, molte di colore, e per la prima volta
sono state elette alla Camera due donne native americane, Sharice Davids and
Deb Haaland. Giustamente l’ex vicepresidente Biden si è inginocchiato – in
segno di rispetto – davanti ad una di loro.
Voglio sperare che questa immagine sia il simbolo del primo passo
verso una nuova epoca, in cui essere donne al potere diventi la normalità.
Queste elezioni di midterm sono sicuramente state “spettacolari”, ma in
generale parlare di donne e di potere – soprattutto politico – è parlare di
un’assenza: le donne siano ancora viste come eterne straniere, ospiti poco
gradite, nella sfera pubblica, e quindi al potere, sia esso politico o
economico. Dal diciannovesimo secondo in poi, con la rivoluzione industriale,
si è affermata la dottrina delle sfere separate, per cui agli uomini è stata
assegnata la sfera pubblica, e alle donne la sfera privata. E anche se sono
trascorsi centinaia di anni, siamo ancora qui, metaforicamente ma non troppo,
con la ramazza a fare le pulizie a casa.
Le donne parlamentari sono infatti il 22.8% del
totale (Dati UN, 2016), un aumento di circa l’11% dal 1995, e solo
il 18,3 % di ministri sono donne. Nel mondo abbiamo solo 11 donne a capo
di uno stato, e 12 a capo di un governo. Peraltro, una
volta arrivate faticosamente al potere, si salvi chi può. In Europa, i dati
dell’ IPU fanno accapponare la pelle: “l’85% delle donne parlamentari sono state
vittime di violenza psicologica nei parlamenti […]. Tra le donne
intervistate, il 47% ha riferito di aver ricevuto minacce di morte, di stupro o
di violenza fisica, il 68% è stata presa di mira da commenti sessisti e il 25%
ha riferito di aver subito violenza sessuale.” Negli
USA, In Vermont, Kiah Morris, una democratica eletta nella legislatura
statale si è dimessa a seguito di minacce a molestie.
E se per le elette non sono tutte rose e fiori,
neanche per chi vota le cose sono facilissime.
A parte le varie leggi e le pratiche che rendono
difficile votare negli USA – soprattutto se si è poveri e di colore – anche il
voto delle donne può non essere libero. Lo riporta Rebecca Solnit nel suo recente articolo per The Guardian. Negli USA si può votare
per posta, metodo molto comodo, ma che in situazioni di abusi familiari può
spingere molti partner e mariti ad obbligare le partner/mogli a votare in un
determinato modo.
Come riporta l’articolo:
“Il problema [della mancanza di libertà nel voto] […] ci ricorda che molte
donne non sono libere ed uguali nella loro vita privata”.
Sono parecchi gli aneddoti raccontati dai volontari che vanno porta a porta a
promuovere determinati candidati che riguardano mariti che non lasciano parlare
le mogli, di mogli intimidite che sottovoce dichiarano che voteranno in un modo
diverso dal marito che incombe alle loro spalle, o un amabile partner che
scherzando ma non troppo dichiara: “e se [mia moglie] ha bisogno di sapere come
votare, la porto nel retro e la picchio”.
Come ricorda la Solnit, le battaglie delle
suffragette vertevano proprio sul fatto che le donne non sono proprietà dei
mariti, e che devono essere libere di votare e di essere elette. Rimane
purtroppo una battaglia ancora attuale. Insomma, come osserva
giustamente Hanna Roisin a The Cut, le uniche forme potere che le donne possono
legittimamente esercitare sono il potere del sesso, e della bellezza, e
soprattutto, il potere utilizzato non per se stesse, ma per aiutare gli altri.
Non solo, oltre agli ostacoli sistemici che si devono affrontare per avere
il potere, ci sono condizionamenti atavici che rendono la relazione tra donne e
potere ambivalente.
Sono rare le donne che ammettono esplicitamente di essere ambiziose e di
volere una posizione di potere – per se stesse.
Anche perché sono attivamente punite per la propria ambizione: per esempio,
Hillary Clinton, come politica – segretaria di stato, in particolare – aveva
degli indici di gradimento alti, che sono diminuiti nel momento in cui si è
candidata come Presidente degli USA.
La persona era la stessa, ma nel momento in cui ha deciso di prendersi tutto,
non è stata premiata. Ed è appena ovvio: non siamo
state tirate su per comandare, ma per “aiutare” e “cooperare”.
Di fronte ad un quadro simile, e al diffondersi di governi pericolosi per i
diritti delle donne, ci vorrebbero soluzioni radicali. È ancora presto per
valutare l’impatto delle donne –soprattutto democratiche – elette a questo giro
negli USA – per esempio, come segnalava @giusyrus
su Twitter, un recente
sondaggio di Politico rilevava come i primi 3 candidati democratici
favoriti alla presidenza per il 2020 siano al momento 3 uomini: Biden, Sanders
e O’ Rourke. Seguono delle donne: Elizabeth Warren e Kamala Harris, ma con
percentuali di gradimento del 4-5%, mentre gli uomini, O’Rourkea parte (8%),
hanno percentuali del 26% e 19%. Ora, si tratta di un solo sondaggio, e tutto
può ancora cambiare.
L’elezione di così tante donne, ma soprattutto la volonta’ di così tante di
candidarsi, mi fa ben sperare nell’inizio di un cambiamento della tanto
travagliata relazione tra donne e potere.
Come dicono qui nel Trumpistan: A girl can dream.
Donne e potere: gioie e dolori
di Federica Gentile | 21 Novembre 2018