Stasera a “Che Tempo che fa” tre ragazzi ricorderanno la loro mamma, Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa nel 2017 alla ricerca della verità su molti, troppi temi scottanti. Assieme a Roberto Saviano, che ha scritto un libro proprio sui giornalisti perseguitati, racconteranno la storia di una professionista che ha pagato un prezzo troppo alto per aver vissuto il proprio mestiere come una missione morale ed etica.
Una delle ultime inchieste alle quali Daphne si dedicò fu quella conosciuta come “Panama Papers”, uno scandalo internazionale di evasione fiscale e corruzione di proporzioni gigantesche. Per ricordare non solo l’alto valore morale ed etico dell’impegno di Daphne, ma anche l’importanza di queste inchieste per la collettività, riproponiamo un articolo di Chiara Capraro e Francesca Rhodes che pubblicammo nel 2016 che spiegava perchè i Panama Papers hanno a che fare con il femminismo, il welfare e l’economia delle donne.
Visto che in questi giorni le tasse sono un argomento molto di attualità, è interessante riflettere su una particolare “storia di tasse”. Parliamo di una giovane donna, Asana Abugre che ha un piccolo negozio in Accra, Ghana, dove produce e vende batik e tessuti prodotti con la tecnica del “tie-dye” (tinti a nodi), e che paga regolarmente le tasse. Donne come lei, che lavorano nei mercati in tutta la città, a volte versano in tasse fino al 37% del loro reddito. Gli esattori vengono ogni giorno a ritirare i soldi direttamente nei loro negozi, senza alcuna possibilità di evadere o di non pagare, indipendentemente dall’incasso, magari anche insignificante, della giornata.
Naturalmente, questo non è “La” storia di tasse di cui tutti stanno parlando in questi giorni.
La pubblicazione dei Panama Papers da parte del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi rappresenta la più grande fuga di dati nella storia. Questa volta si tratta, per di più, di alcune delle persone più potenti del mondo che hanno motivo di preoccuparsi, considerati i riflettori dell’opinione pubblica finalmente puntati sui loro regimi fiscali segreti.
Queste due storie, apparentemente così distanti, sono invece legate tra di loro.
Quando coloro che si trovano ai vertici della piramide economica trovano il modo per non pagare le tasse, l’impatto è infatti sentito in modo più forte da quelli che si trovano alla base, persone come Asana.
Se guardate i nomi dei politici e degli imprenditori citati nei documenti che sono trapelati, vedrete che coloro che hanno beneficiato dei paradisi fiscali sono soprattutto uomini. Forse ciò riflette il fatto che le posizioni di potere sono ancora oggi principalmente occupate da uomini. D’altra parte, sappiamo anche che coloro che sono colpiti più duramente dalle conseguenze dell’evasione fiscale sono i più poveri del mondo, e che tra questi le donne e le ragazze sono presenti in modo prevalente.
Il segreto finanziario e l’evasione fiscale, con la conseguente mancanza di fondi pubblici, finisce così con il minacciare le possibilità di accesso delle donne e delle ragazze ai servizi pubblici, di aumentare il lavoro di cura che queste fanno gratuitamente, spostando l’onere fiscale sui chi meno può permetterselo.
I Panama Papers forniscono, se ce n’era bisogno, un’ulteriore prova delle dimensioni dell’evasione fiscale globale e del suo impatto sulla povertà e disuguaglianza,
in particolare nel sud del mondo. E’ stato stimato che i paradisi fiscali costino ai paesi poveri almeno 170 miliardi di dollari in termini di gettito fiscale perduto ogni anno. Si tratta di denaro indispensabile che potrebbe essere utilizzato per le scuole, gli ospedali, l’assistenza ai bambini o per i servizi a contrasto della violenza contro le donne.
La realizzazione dei diritti delle donne non si potrà infatti ottenere gratis e senza costi.
L’agenzia ONU –UN Women ha analizzato le politiche nazionali sulla parità di genere dei vari paesi e ha trovato che ad alcuni manca fino al 90% dei fondi necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Ecco perché i Panama Papers dovrebbero essere una preoccupazione primaria per le femministe di tutto il mondo.
E non si tratta solo di Panama. Recentemente il Centro per i Diritti Economici e Sociali ha presentato un’interrogazione all’organismo delle Nazioni Unite incaricato di monitorare nei vari paesi il rispetto dei trattati sui diritti delle donne. Nel documento veniva evidenziato l’impatto extraterritoriale sui diritti delle donne dell’opaca legislazione finanziaria della Svizzera, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Il segreto finanziario e dell’elusione fiscale sono dunque una questione femminista per almeno tre ragioni.
In primo luogo, quando i governi non possono esigere abbastanza entrate dalle persone più abbienti e dalle aziende dai maggiori profitti tendono ad andare ad aumentare le imposte indirette, come l’IVA, che impattano invece maggiormente le persone a più basso reddito – in maggioranza donne – le quali, a causa del loro ruolo di genere, hanno il compito di far quadrare i conti di casa.
In secondo luogo, una perdita di entrate ha un impatto maggiore sulle donne e tra queste soprattutto su quelle che vivono in povertà e che potrebbero maggiormente trarre giovamento da servizi pubbliciben finanziati quali l’istruzione, la sanità e la protezione sociale. Le donne in stato di povertà sono invece le prime a rimetterci quando questi servizi essenziali non sono liberamente accessibili, cosa che porta le famiglie a fare scelte terribili su chi nel nucleo famigliare debba avere la priorità nell’accesso a questi servizi. L’evasione fiscale priva dunque questi paesi delle risorse delle quali hanno disperatamente bisogno: significa che le ragazze che dovrebbero essere a scuola non ci vanno, madri che dovrebbero avere l’assistenza sanitaria per sé e per i loro figli invece ne sono invece sprovviste. A titolo di esempio, è bene ricordare che una compagnia petrolifera ha pagato Mossak Fonseca, la stessa società che gestisce i Panama Papers, per cercare di evitare di pagare 400 milioni di dollari in tasse in Uganda. Questa cifra è superiore all’intero bilancio della sanità ugandese.
Una terza e fondamentale ragione è che coloro che spostano e nascondono la loro ricchezza, siano essi individui o aziende, non pagano quanto devono per mandare avanti l’ “economia della cura’ – le persone che invece producono e riproducono la forza lavoro di oggi e di domani.
Sono infatti le donne e le ragazze a portare avanti oltre il 75% di
questo lavoro di riproduzione sociale, per lo più non riconosciute né
ricompensate. Per quanto i ricchi traggano beneficio da questo impegno
delle donne – è grazie a loro lavoro se possono disporre di una forza
lavoro ben nutrita, istruita e in salute – evadendo le tasse si
sottraggono dal contribuire a quest’attività. Il sistema fiscale serve
infatti a redistribuire la responsabilità ed il costo della
riproduzione sociale, finanziando servizi pubblici e sistemi di
protezione sociale.
È stato ampiamento dimostrato che quando questi servizi vengono tagliati o non si investe mai su di essi, le donne finiscono con il compensarne la riduzione o la mancanza, aumentando la quantità di ore impegnate nel prendersi cura degli altri, e privandosi del tempo per lo studio, per il lavoro pagato o per il riposo.
Purtroppo questo concetto della centralità della giustizia fiscale per la tutela e la promozione dei diritti della donna non sta raggiungendo coloro che ci governano.
Recentemente nell’ambito della Commissione sulla Condizione delle Donne, una bozza di accordo delle Nazioni Unite incoraggiava gli Stati Membri ad ‘aumentare l’utilizzo delle risorse nazionali implementando sistemi di tassazioneprogressiva che integrino pienamente gli obiettivi di uguaglianza di genere’ e a ‘spostare l’onere fiscale sui gruppi con redditi più alti e assicurando anche che le aziende, il settore finanziario e le industrie estrattive paghino equamente la loro parte’. Tuttavia, alla fine dei negoziati, la forza di questo richiamo è stata molt diluita.
Il nostro obiettivo non è, naturalmente, arrivare al punto di ottenere, rispetto agli uomini, altrettante donne miliardarie in grado di evadere le tasse. Dobbiamo, invece, lottare per un’economia più equa e una politica migliore in cui sia l’estrema povertà che la ricchezza più opulenta vengano consegnate ai libri della storia e in cui uomini e donne abbiano uguale potere decisionale a tutti i livelli.
Tutti i nostri leader – uomini e donne – devono urgentemente dare la priorità ai diritti delle donne e alla giustizia economica – questo significa anche eliminare un sistema fiscale che consente ai più ricchi di sfuggire alle tasse e obbligarli invece a pagare ciò che è giusto, consentendo così di fare quegli investimenti di cui l’uguaglianza di genere ha urgente bisogno.