A quasi 7 anni di distanza dal disastro di Rana Plaza, ancora una volta una tragedia ha colpito lavoratori e lavoratrici nel settore tessile. L’otto dicembre a New Delhi è scoppiato infatti un incendio in un laboratorio di produzione di borse e sono morte 43 persone; la vittima più giovane aveva 13 anni.
Secondo quanto riportato dalla polizia, la maggior parte di coloro che sono morti/e nell’incendio erano lavoratori e lavoratrici che dormivano nel laboratorio, un fatto tutt’altro che raro per coloro che lavorano nel settore tessile ai quali viene spesso richiesto di lavorare oltre l’orario normale per raggiungere gli obiettivi di produzione. Benchè non si tratti in questo caso di un laboratorio che produceva vestiti per i grandi marchi di fast fashion, questa ennesima tragedia illustra le pessime condizioni di lavoro per lavoratori e lavoratrici nel settore tessile; si tratta di circa 70 milioni di persone nel mondo, e la maggioranza sono donne.
L’incendio a New Delhi, e l’estremo sfruttamento di chi lavora nel settore tessile, non sono rare aberrazioni, ma il simbolo, come riportato da Fashion Revolution, di “un più ampio problema di ingiustizia e oppressione che è orribilmente comune in economie in via di sviluppo (e sviluppate)”. Il sistema della moda, per via dell’insaziabile pressione da parte dei consumatori per beni a costo sempe minori si rivale su lavoratori e lavoratrici, che sono pagati pochissimo, specie se vivono e lavorano nel sud del mondo: per esempio una lavoratrice nel settore tessile in Sri-Lanka guadagna 194 dollari al mese.
Come affermato da Raj Patel e Jason W Moore nel libro A History of the World in Seven Cheap Things il sistema capitalista non potrebbe esistere senza sette cose a basso costo (o gratis): natura, denaro, lavoro di cura (!!!), lavoro, cibo, energia e vite umane.
Non è un caso quindi che le condizioni in cui la maggior parte dei beni che costano molto poco – come i vestiti di certe catene – sono prodotti in condizioni di lavoro che non possono essere altro se non pessime. E quindi: “ la negligenza e lo sfruttamento che hanno portato a questa tragedia sono stati deliberate, premeditate e dipendono dall’avidità su scala industriale alimentata dal nostro materialismo, perchè […] siamo apparentemente incapaci di dire no ad “affari” a poco prezzo e di chiederci “Chi ha fatto i miei vestiti”?”
E invece dovremmo cominciare a chiedercelo.