Mentre qui negli USA assistiamo basiti alle peripezie di un’amministrazione che pare uscita dall’incrocio tra una telenovela di basso livello e di una spaventosa distopia, a quanto pare in Italia si parla di distribuire soldi “a chi non ha voglia di lavorare”, o secondo altri di combattere la povertà nel nostro paese grazie al reddito di cittadinanza.
Beata Italia! Ma le cose sono – come al solito – complicate.
Come riportato dalla Voce, la proposta di legge presentata già tempo fa dal Movimento 5 stelle sul reddito di cittadinanza (un reddito garantito a tutti i cittadini e le cittadine italiane, senza condizioni), in realtà propone un reddito minimo garantito cioè “un sussidio erogato solo a chi è povero e pari alla differenza fra il reddito effettivamente percepito e un livello minimo, fissato per legge”. La fattibilità di un reddito minimo è dibattuta, ma quel che è certo, è che non si tratta di un’idea nuova.
Thomas More nella sua “Utopia” scriveva di reddito di base incondizionato (reddito erogato a tutti, indipendentemente dalle circostanze come età, residenza, etc, ), ed il buon More è in compagnia di molti altri pensatori ed economisti come Jeremy Rifkin e Naomi Klein, che lo considerano come una possibile soluzione alla povertà e alla crescente disuguaglianza tra popolazione povera e ricca.
La principale differenza con il reddito minimo – proposto dal M5S – è che il reddito minimo non è incondizionato, ma subordinato al reddito e patrimonio di chi lo riceve. Le riflessioni sul reddito minimo includono non solo valutazioni sulla fattibilità in termini di costi (vedi qui, e qui per la situazione italiana) ma anche sugli effetti di questo strumento sulla partecipazione al mercato del lavoro. La proposta del movimento 5 stelle peraltro include la clausola delle “3 proposte”: vale a dire se si rifiutano 3 proposte di lavoro si perde il diritto al reddito minimo.
Per esempio, secondo quanto delineato nel post “Feminism and the Basic Income” di John Danaher – a seguito dell’adozione di un reddito minimo ci potrebbe essere una riduzione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro: poiché le donne sono ancora coloro che svolgono la maggior parte del lavoro domestico e di cura, il reddito minimo potrebbe incoraggiarle ulteriormente a lasciare il lavoro. Alcuni studi stimano che ci potrebbe essere una flessione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro tra il 9 ed il 20%. Ultimamente però il dibattito sul reddito minimo deve tenere conto di un’altra rivoluzione nel mondo del lavoro, che di fatto potrebbe mettere in secondo piano le valutazioni fatte sopra, e cioè l’eliminazione di milioni di posti di lavoro grazie all’adozione di robot.
Esagerazioni? Mica tanto. Dati riportati dall’Ansa riportano che saranno 5 milioni i posti di lavoro che salteranno e che i ruoli più a rischio saranno ruoli amministrativi e d’ufficio. Altre stime parlano di 3 milioni di posti di lavoro a rischio nella sola Italia. Vi potrebbe essere un impatto – a livello globale e nazionale – probabilmente maggiore sull’occupazione femminile, perché: “Viene calcolato che nei prossimi cinque anni [le donne] otterranno solo un posto di lavoro ogni cinque perduti, mentre gli uomini ne guadagneranno uno per ogni tre per ogni tre persi”.
Si tratterà quindi progressivamente di adottare una prospettiva secondo cui “il lavoro come paradigma di reddito sarà sempre più una chimera, perché la robotica finirà per essere più efficiente a costi sensibilmente minori.” E, aggiungiamo noi come nota a margine, ma non troppo, dovremmo anche abbandonare definitivamente l’idea di lavoro come antidoto alla povertà: come osserva Chiara Saraceno sulla Voce, in Italia il 12% delle famiglie di operai vivono in condizioni di povertà assoluta.
Jack Ma, il fondatore di Alibaba l’ha messa giù dura: “L’intelligenza artificiale, i Big Data, sono una minaccia per gli esseri umani. I robot uccideranno un sacco di posti di lavoro, perché in futuro queste mansioni verranno svolte dalle macchine”. La valutazione di Ma riguarda la situazione a livello globale; per quanto riguarda il nostro paese, il reddito minimo rimane principalmente una possibile soluzione alla povertà, tuttavia potrebbe diventare necessario anche – soprattutto nel Nord Italia, maggiormente industrializzato – iniziare a preoccuparsi dell’impatto dell’adozione di robot sull’occupazione.
Insomma, il reddito minimo potrebbe rappresentare non solo una soluzione potenziale alla povertà e alla disuguaglianza, ma un correttivo ad una situazione in cui alcuni tipi di lavori saranno eliminati e determinati tipi di lavoratori e lavoratrici – a meno di una titanica opera di formazione – non saranno più tali.
Questo può comportare – ad adottare un’ottica di genere – oltre a preoccupazioni economiche per chi perde il lavoro, anche a una bella crisi, soprattutto per gli uomini. La tradizionale associazione uomo = colui che lavora, guadagna, e mantiene tutta la famiglia (famiglia composta da uomo e donna, ca va sans dire) a questo punto per molti verrebbe a mancare, e vi sarebbe come conseguenza una bella crisi per la tradizionale definizione della mascolinità e dei ruoli di genere. E se pensate che sia un’esagerazione, negli USA la recessione 2008-2010 è stata denominata “man-recession”, e la perdita di posti di lavoro per molti uomini ha avuto conseguenze in termini di salute mentale. Anche in Italia la recessione ha colpito soprattutto gli uomini.
Gli uomini (non tutti, naturalmente) non sono i soli a considerare il lavoro fuori casa come parte importante della propria identità e in caso ad andare in crisi se non ce l’hanno; anche moltissime donne lo considerano tale. Ma si sa, la donna è comunque sempre un po’ un’ospite – a tratti mal tollerata, se guardiamo al gender wage gap, al mobbing e alle molestie sessuali sul lavoro – nel mercato del lavoro, e quindi l’identificazione – a livello sociale – tra l’essere donna e lavorare fuori casa, è in generale meno pervasiva.
Quindi si potrebbe profilare una crisi profonda a livello individuale e potenzialmente un certo livello di malessere a livello sociale. Jack Ma si preoccupa del rischio di una terza guerra mondiaIe. E fidatevi che se Jeff Bezos, multimilionario padrone di Amazon, è a favore del reddito minimo un motivo ci sarà. Ultimo ma non ultimo, dice la sua anche Bill Gates: proponendo l’idea di tassare il lavoro dei robot, così come viene tassato il reddito di chi lavora ad una catena di montaggio. E dove dovrebbero finire i soldi? Gates ha pensato a tutto: “L’obiettivo della proposta: destinare i proventi di questa tassazione a sostenere quei lavoratori che, usciti dalle fabbriche, si potrebbero dedicare a offrire servizi per gli anziani, a insegnare nelle scuole, ad aiutare i bambini che hanno bisogni speciali. Si unisce al coro Elon Musk (CEO di TESLA) che si dichiara a favore del reddito minimo garantito, finanziato grazie alla tassazione dei robot, sostenendo che ogni essere umano potrebbe ricevere uno stipendio mensile di cui vivere.
A parte lo sconforto per il fatto che tutte queste valutazioni riportate dalla stampa nazionale ed internazionale sono solo di uomini, rimangono molte incognite. Per esempio, Jack Ma – ancora lui – parla della possibilità in futuro, di lavorare solo 16 ore a settimana ma questo riguarderà probabilmente una parte della popolazione, e francamente, non so se i robot elimineranno lavori poco qualificati e pagati troppo poco che vengono svolti per esempio da donne nel Sud del Mondo. Pagare una donna 3-5 dollari al giorno per cucire una maglietta potrebbe comunque essere più vantaggioso che far fare lo stesso lavoro ad un robot? E nel caso persino questi posti di lavoro (che sono quasi schiavitù, diciamocelo) venissero eliminati, anche a questi esseri umani potrebbe essere garantito un reddito minimo?
A quanto pare non dovremo aspettare poi molto per scoprirlo.
Chi ha capito tutto del reddito di cittadinanza alzi la mano!
di Federica Gentile | 27 Marzo 2018