Martedì scorso si è tenuto presso la Commissione per i bilanci del Parlamento Europeo un workshop online dedicato ai e alle parlamentari su: “Gender Budgeting, from theory to practice”. Il bilancio di genere, come sa chi ci segue da vicino, è una parte importante della nostra vita professionale, sulla quale si appoggia la visione e le idee che portiamo avanti con Ladynomics, anche se ne abbiamo parlato esplicitamente poche volte. A causa di questa lunga esperienza sul tema, Giovanna è stata invitata a presentare il caso italiano a questo workshop. Ecco il suo intervento tradotto:
L’Italia ha una lunga storia sul Bilancio di genere
che risale al 2002, esattamente 20 anni fa, quando si tenne un primo convegno nazionale su questo tema. Da allora il Bilancio di genere si è diffuso rapidamente in Italia a livello territoriale con un processo bottom-up, a differenza di altri paesi che normalmente sperimentano un processo top-down.
Tra il 2002 e il 2013 sono stati realizzati circa 140 progetti di Bilancio di genere tra Comuni, Province e Regioni italiani, nel 2016 è stato pubblicato il primo rapporto di Bilancio di genere a livello nazionale, seguito da altre sei edizioni.
In quegli anni il Bilancio di genere era sostenuto principalmente dalle donne nelle pubbliche amministrazioni, dai politici, dai dipendenti pubblici e dai professori accademici, la maggior parte delle quali appartenenti alla generazione degli anni ’70 con un forte background sulla parità di genere.
Anche l’Unione Europea ha svolto un ruolo importante per l’Italia a diversi livelli in quel periodo.
La deputata italiana Fiorella Ghilardotti, che nel 2002 è stata relatrice per la prima Risoluzione del PE sul bilancio di genere, ha sostenuto anche le prime iniziative di bilancio di genere in Italia, mentre programmi europei come il FSE e Interreg hanno finanziato numerosi progetti e sostenuto le attività di una rete di istituzioni locali per il Bilancio di genere che è stata molto utile ai fini della divulgazione.
A partire dal 2012 circa, al tempo della crisi economica e delle misure di austerità,
l’interesse per il Bilancio di genere, così come per molti altri strumenti di accountability, ha iniziato a diminuire, a causa della mancanza di risorse pubbliche per il welfare e le politiche sociali. È proseguita la pubblicazione del solo rapporto nazionale sul bilancio di genere, ma senza un’attenzione significativa a livello politico e pubblico.
Oggi sta riaffiorando di nuovo in Italia un forte interesse per il Bilancio di genere
a causa dell’esperienza comune delle donne della crisi di cura che si è propagata a seguito della pandemia. Come da tutte le parti, le donne italiane sono esauste e sopraffatte dalle responsabilità della cura e dalla loro debolezza professionale, sociale ed economica. Stanno quindi diventando sempre più consapevoli del prezzo alto che stanno pagando in termini di disoccupazione, mancanza di potere e denaro, salute mentale e violenza domestica .
In questo contesto, circa un anno fa, il Bilancio di genere è tornato ad essere oggetto di interesse grazie al Recovery and Resilience Fund.
Riflettendo su questa enorme quantità di risorse per investimenti, ONG e reti spontanee di donne, anche ispirate dalla Campagna Half-of-it, hanno iniziato a interrogarsi sull’impatto di genere di 191,5 miliardi di euro da spendere in infrastrutture, digitalizzazione, costruzioni ecc. Già a un primo sguardo era evidente che, nonostante la pandemia fosse una crisi delle donne, il Recovery and Resilience Fund non ha affrontato adeguatamente questo tema.
La necessità di valutare l’impatto di genere di questi investimenti ha quindi riacceso un forte interesse per il Bilancio di genere in Italia, sia a livello territoriale che nazionale, con un improvviso fiorire di webinar, conferenze, post sui social media, articoli su carta ecc.
Sta ripartendo dunque un nuovo ciclo di interesse per il Bilancio di genere in Italia, ma il rischio è che possa presentare gli stessi punti di debolezza del precedente.
Quello che si può imparare dall’esperienza italiana di Bilancio di genere, interessante anche a livello europeo, è che, fin dall’inizio, c’è sempre stato un malinteso sul reale utilizzo e potere di questo strumento.
Il Bilancio di genere, infatti, è uno strumento tecnico molto utile per supportare le politiche di uguaglianza di genere, ma non ha il potere di per sé di prendere decisioni in base ai suoi risultati.
Sembra ovvio dirlo, ma nell’esperienza italiana il Bilancio di genere è stato spesso sostenuto come se fosse di per sé la soluzione alle disuguaglianze di genere. In verità, è molto utile per svelare, descrivere, analizzare, valutare l’impatto di genere delle risorse pubbliche; può anche arrivare a delineare soluzioni e raccomandazioni, ma alla fine la loro adozione spetta solo ai decisori politici.
In Italia abbiamo sperimentato che la pressione della società civile e la conseguente volontà politica di attuare politiche per l’uguaglianza di genere è fondamentale per ottenere risultati di successo in questo ambito.
La volontà politica, inoltre, è essenziale per migliorare il Bilancio di genere anche a livello tecnico al fine di avere dati di genere adeguati e rappresentativi. Decidere di implementare un sistema statistico su questi temi è di per sé una scelta politica.
Per quanto riguarda i punti di forza, l’esperienza italiana è stata utile per raggiungere la consapevolezza del potenziale veramente trasformativo del Bilancio di genere.
Essendo uno strumento tecnico volto ad attuare concretamente il Gender Mainstreaming, il Bilancio di genere può avere il potere di sostenere una crescita strutturale e sistemica, sfidando ogni potere economico nascosto nelle pieghe dei bilanci pubblici. Non sorprende, in fondo, che così tante resistenze e ostacoli ne abbiano impedito finora un uso politico.
In ogni caso, nonostante l’impatto del Bilancio di genere non sia stato ancora così potente e sistemico in Italia come speravano le sue sostenitrici e sostenitori,
negli anni sono emersi alcuni risultati soprattutto nelle amministrazioni locali,
in termini di decisioni quotidiane, consapevolezza, sensibilità e attenzione all’impatto di genere delle politiche. C’è stata una crescita importante anche a livello tecnico: avere tante sperimentazioni ha permesso di mettere in pratica e affinare metodologie.
È inoltre importante ricordare che il Bilancio di genere ha anche
l’effetto collaterale di essere un’occasione importante per aumentare la consapevolezza
delle donne sull’uguaglianza di genere, rafforzare la loro cittadinanza e aiutarle a partecipare e praticare concretamente la democrazia. In Italia il dibattito sull’impatto di genere del Recovery and Resilience Fund ha rappresentato per molte donne un’occasione importante per affrontare questioni di genere su cui non avevano mai avuto la possibilità e l’interesse di riflettere prima, come l’impatto di genere dei trasporti pubblici e della mobilità, della digitalizzazione, dell’edilizia ecc. Questa richiesta di conoscenza allarga la consapevolezza politica delle donne a tutte le decisioni politiche e di bilancio, senza dimenticare ovviamente le tradizionali problematiche femminili, ma inserendole in un quadro d’insieme più ampio e generale.
In conclusione,
penso che l’esperienza italiana sul Bilancio di genere sia molto interessante per i suoi alti e bassi, e che, in ogni caso, è importante che insistiamo, come società, politici, funzionari ed esperti, a praticarlo e diffonderlo nell’ambito di un più ampio processo di sensibilizzazione e attenzione politica sulla parità di genere, sia a livello nazionale che europeo.