L’austerity rischia di tornare prepotentemente alla ribalta in Europa, dopo qualche anno di tregua dovuta alla pandemia; infatti le norme fiscali attuali, che limitano i disavanzi di bilancio degli Stati membri al 3% del PIL e il debito al 60% del PIL, sono state sospese dal 2020 per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. Nel 2024 questa sospensione terminerà e gli stati membri dell’Unione con un deficit superiore al 3% (tra cui l’Italia) dovranno effettuare un aggiustamento fiscale minimo dello 0,5% del PIL all’anno.
Questi Stati dovranno decidere quali tagli alla spesa operare, e un eventuale ritorno all’austerity comporta notevoli rischi riconosciuti da organizzazioni europee e non; ETUC (European Trade Union Confederation) propone al posto dell’austerity la “regola d’oro degli investimenti pubblici”, garantendo al contempo un livello adeguato di spesa corrente, che assicurerebbe che gli investimenti pubblici netti siano esclusi dalle regole di pareggio di bilancio.
I danni dell’austerity sono stati ampiamente documentati, e secondo un nuovo rapporto i cittadini e le cittadine europee dalla crisi finanziaria del 2007 hanno perso circa 3.000 euro di reddito familiare, e sono stati spesi 1.000 euro pro capite in meno per servizi pubblici e sociali. Inoltre, continua il rapporto, il fatto che nella UE si sia verificata una carenza di investimenti di oltre 500 miliardi di euro, non ha reso possibile un’azione accelerata sul cambiamento climatico e altri investimenti per rendere l’economia più resiliente agli shock.
Frank Van Lerven, responsabile del programma di macroeconomia presso NEF ha affermato che: “L’ultimo decennio di politiche di austerity ha danneggiato le economie europee e ha impedito il miglioramento del nostro tenore di vita”.
Un eventuale ritorno dell’austerity fa preoccupare soprattutto per l’impatto sulle persone più vulnerabili, tra cui, al solito, ci sono le donne. In Gran Bretagna, a seguito delle misure di austerity, le retribuzioni di lavoratori e lavoratrici del settore pubblico hanno subito prima un congelamento e poi una diminuzione della loro retribuzioni del 4,3% rispetto al 2010. La maggior parte di coloro che lavorano nel settore pubblico, soprattutto per quanto riguarda il sistema sanitario, l’assistenza sociale e l’insegnamento, sono donne, che quindi sono le più colpite dall’austerity in quanto lavoratrici, e anche in quando fruitrici dei servizi di welfare che vengono tagliati. Uno studio recente ha rilevato che “nel 2021 una donna nel nord-est dell’Inghilterra aveva 1,7 volte più probabilità di morire prematuramente a causa di suicidio, dipendenza o omicidio domestico rispetto alle donne che vivono in Inghilterra e Galles nel loro complesso”, questo per un mix di ragioni legate all’austerity, alla pandemia, e all’aumento del costo della vita.
In Italia negli anni passati, solo nel settore dell’istruzione, 19.700 donne hanno perso il lavoro, ed è stata stimata una perdita ulteriore di 87.000 posti di lavoro femminili. Tutto ciò è stato aggravato dal fatto che il carico di lavoro domestico e di cura è aumentato per via della pandemia, che, creando un ulteriore bisogno di lavoro domestico e di cura non pagato, ha forzato molte donne a lasciare il lavoro fuori casa.
Come osservato dal Women’s budget group: “Le politiche di austerity degli ultimi 12 anni hanno eroso la sicurezza sociale. Le donne sono più vulnerabili alla povertà a causa dei redditi e della ricchezza inferiori e perché hanno maggiori probabilità di avere una disabilità o responsabilità di assistenza.”
Non stupisce quindi che Oxfam abbia definito l’austerity come una forma di violenza di genere:
“Le politiche di austerity fondono il patriarcato e l’ideologia neoliberista per sfruttare ulteriormente le persone più oppresse all’interno della società, e ignorano deliberatamente i loro bisogni […].
L’austerity non è solo una politica di genere; è anche un processo di genere nella sua “quotidianità” – il modo in cui permea specificamente la vita quotidiana delle donne: nei loro redditi, nelle loro responsabilità di cura, nella loro capacità di accedere a servizi essenziali come la salute, l’acqua e i trasporti, e nella loro sicurezza generale e la libertà dalla violenza fisica in casa, al lavoro e per strada.”
A fronte di queste riflessioni, fondate su un’ampia letteratura, c’è da preoccuparsi, anche perchè nel frattempo la Germania si è portata avanti, con la previsione di tagli della spesa militare, ma anche tagli alla spesa per l’istruzione, i prestiti agli studenti, l’assistenza all’infanzia, gli assegni parentali e la ricerca scientifica, con i maggiori tagli previsti nell’assistenza sanitaria.
La conclusione: teniamoci forte e continuiamo a lavorare per un’economia femminista.
Immagine: Josh Appel su Unsplash