Vivere costa sempre di più e mette più donne a rischio di violenza. L’allarme per il caro vita e le conseguenze sui tassi di violenza domestica viene dal Regno Unito, ma purtroppo si applica anche al nostro paese. Il rincaro dei costi dovuti ad un mix tra le conseguenze della pandemia, e della guerra in Ucraina, è particolarmente pesante per le donne, e le rende ancora più vulnerabili alla violenza domestica e alla violenza economica.
Da un lato l’aumento del costo della vita può creare un fattore di stress ulteriore che porta gli uomini a compiere abusi, e offre anche un’occasione per controllare il/la partner dal punto di vista economico, soprattutto in contesti, come quello italiano, in cui le donne hanno già una minore indipendenza economica: il 37% delle donne italiane non ha un conto corrente e i divari di ricchezza netta tra uomini e donne sono ben evidenti e mediamente dell’ordine del 25%, e tendono ad aumentare all’aumentare dell’età. Non sorprende, quindi, che nel nostro paese circa 1 donna su 3 sia vittima di violenza economica, riconosciuta come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne – all’articolo 3 della Convenzione di Instanbul.
Un maggiore costo della vita – come abbiamo visto per il caro energia – ha un impatto maggiore sulle donne, che tendono a guadagnare meno degli uomini e ad avere tassi di occupazione minori, il che le mette in una condizione che spesso non permette di lasciare chi abusa di loro. Se non verranno presi provvedimenti che arginino il caro vita e che soprattutto siano sensibili al genere ci si può aspettare che il numero delle vittime di violenza domestica ed economica possano aumentare.
E se i 400 euro al mese del reddito di libertà possono aiutare, ci troviamo comunque davanti ad un problema sistemico, causato dal patriarcato da un lato e da una scarsa partecipazione delle donne all’economia dall’altro che ha bisogno di soluzioni sistemiche e non di provvedimenti una tantum.