Non ci eravamo ancora messe a studiare la Proposta per il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (Doc. XXVII, n. 18), per poterne scriverne. In questi giorni però lo abbiamo fatto, e con attenzione, per l’audizione informale alla Camera dei Deputati alla quale ha partecipato anche Ladynomics oggi (Qui il video, dal minuto 2.00.20 ). Ecco quindi quello che abbiamo detto:
Gentili Presidente e Onorevoli Deputate e Deputati,
a nome di Ladynomics, un sito di ricercatrici di economia e di politica di genere, vi ringrazio per l’invito a presentare le nostre idee per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e a contribuire ad sfida epica per il nostro paese. Al PNRR si chiede infatti di risolvere parecchi problemi, forse troppi: in 6 anni bisognerebbe infatti riparare i danni economici e sociali prodotti dal Covid e allo stesso tempo recuperare i ritardi trentennali dell’Italia. Occorrerà quindi il massimo impegno da parte di tutti, donne e uomini, ed è con questa consapevolezza che avanziamo le nostre proposte.
Adottare il concetto di cura come visione d’insieme del Piano
Una delle critiche più diffuse al PNRR e che condividiamo è quella di non avere ancora maturato una visione d’insieme. Pensiamo che tale lacuna possa essere colmata riconoscendo la natura reale di questa crisi.
La crisi Covid, contrariamente alla lettura mediatica che ne è stata data, non è una guerra, né è nata come crisi economica, come avvenuto invece nel 2008. Si tratta invece di una crisi di cura, sanitaria e sociale. Per questo motivo le donne, sulle quali grava ancora la maggior parte del lavoro di cura sia gratuito che retribuito, sono state allo stesso tempo le principali protagoniste, negli ospedali, nella ricerca, nella didattica a distanza, nel volontariato, nelle famiglie, ma anche le principali vittime, a partire dalla perdita dei 344.000 posti di lavoro tra il 3°Trimestre 2019 e il 3° trimestre 2020 (Istat), legati soprattutto alle occupazioni a contatto con il pubblico, oltre ai 99.000 registrati nel solo mese di dicembre 2020 (Istat). Certamente, la crisi di cura sanitaria e sociale scatenata dal Covid si va a sommare ad altri tipi di crisi di cura, quella del pianeta dovuta crisi climatica, e quella prodotta dall’impatto sociale della rivoluzione tecnologica. Si tratta di tre crisi di cura differenti che si stanno manifestando tutte contemporaneamente e alle quali il PNRR deve dare una risposta equilibrata. Declinare rispetto ad una definizione ampia di cura la visione globale del piano darebbe quindi una maggiore consapevolezza sugli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Specificare come si intende sviluppare il gender mainstreaming
Nell’ambito di questa visione di insieme è importante poi definire quale ruolo potranno avere le donne nella ricostruzione del paese. Riguardo a questo punto la scelta di applicare il gender mainstreaming nell’attuale proposta di PNRR, che ha preceduto di qualche giorno l’indicazione analoga nelle linee guida della UE, è importante. Il gender mainstreaming, introdotto dall’ONU durante la IV Conferenza Mondiale di Beijing nel 1995 e adottato anche dall’Unione Europea, è infatti una strategia risolutiva, che davvero porterebbe ad una reale parità in ogni ambito. E’ però, purtroppo, anche una delle strategie più annunciate e meno applicate, dal momento che richiede dei cambiamenti e delle scelte politiche drastiche. Per tale motivo riteniamo indispensabile che vengano indicati in modo chiaro, concreto e cogente gli strumenti e le modalità con i quali si pensa di attuarlo.
Fare valutazione di impatto di genere permanente (ex ante, in itinere ed ex post) sull’impatto del PNRR anche ricorrendo eventualmente ai fondi della UE per lo Strumento di Sostegno Tecnico agli Stati.
La difficoltà di realizzare un effettivo gender mainstreaming è legato al fatto che il PNRR è molto sbilanciato a favore dell’occupazione maschile, dal momento che la maggior parte delle risorse è destinata a settori economici legati all’ICT, alle infrastrutture, ai trasporti ecc. Per quanto negli ultimi anni il riequilibrio di genere nei vari settori economici sia stato in progressivo miglioramento si tratta di un processo molto lento che, nonostante il meritevole impegno nel promuovere gli studi STEM per le donne, richieda un numero di anni che non abbiamo per il PNRR: negli ultimi 10 anni vi è stato in Italia un incremento del solo 0,4% del tasso di femminilizzazione nei settori dove la presenza di uomini supera il 60% (Eurostat 2019-2009).
Certo, avere vincolato già a livello europeo il 57% delle risorse alla transizione ecologica e alla digitalizzazione rappresenta un limite, come già evidenziato dalla campagna europea “Half of it”. Ciò non toglie che qualcosa di più si debba ancora fare in termini di destinazione delle risorse. Apprezziamo quindi i progetti specifici per gli asili nido, per la scuola e il sociale, per l’imprenditoria femminile e gli altri strumenti a favore della famiglia, ma, data l’incidenza residuale in termini finanziari di questi progetti, chiediamo che lo squilibrio venga costantemente monitorato attraverso una valutazione di impatto di genere permanente e ripetuta in ogni fase di progettazione e realizzazione del piano, anche eventualmente ricorrendo, se necessario, ai fondi della UE per lo Strumento di Sostegno Tecnico agli Stati membri.
Riequilibrare l’impatto occupazionale di genere con il gender procurement e fondi addizionali
Per riequilibrare l’impatto del PNRR rispetto all’occupazione femminile proponiamo di adottare una doppia strategia.
Una prima strategia di “contenimento del danno” riguarda l’indicazione di quote dedicate all’occupazione femminile o in alternativa l’inserimento di criteri di gender procurement nei bandi di gara o negli appalti, il che significa mettere degli indicatori di parità di genere tra i criteri di assegnazione dei progetti. Si tratta di una scelta necessaria, ma che inevitabilmente si dovrà confrontare con importanti resistenze e con la mancanza di figure professionali femminili già formate in alcuni settori fortemente maschili.
Una seconda strategia indispensabile è quindi quella della “compensazione”, che prevede un investimento considerevole di ulteriori fondi strutturali da destinare sia a settori economici ad elevata presenza di occupazione femminile sia a progetti specificatamente rivolti alle donne.
Investire di più nelle infrastrutture sociali e pagare di più il lavoro di cura retribuito
Questi maggiori investimenti in settori economici ad elevata presenza di occupazione femminile dovrebbero quindi essere spesi soprattutto in infrastrutture sociali, in servizi per la conciliazione, servizi sociali, istruzione. Questa scelta porterebbe quindi con sé il doppio effetto, di permettere ai genitori che lavorano di usufruire di servizi di cura indispensabili, di produrre occupazione in settori dove la presenza femminile supera il 70%. Non è un caso, infatti, che ancora oggi i paesi europei a più elevato tasso di occupazione femminile siano anche i paesi che spendono maggiormente nel welfare e nel sociale.
Per un dovuto riconoscimento del valore del lavoro, ma anche per l’impatto macroeconomico sui consumi, riteniamo inoltre indispensabile che la retribuzione dei lavori di cura, che è tra le più basse in Europa, aumenti in modo considerevole.
Inserire e finanziare ulteriormente una strategia specifica per la parità di genere
Chiediamo quindi che, in coerenza con tutte le strategie ONU ed europee negli ultimi 25 anni, il PNRR preveda la doppia strategia per le pari opportunità, e che in aggiunta al gender mainstreaming venga esplicitamente reinserita una sezione apposita per i progetti e i servizi indirizzati esclusivamente alle donne come prime e uniche beneficiarie, soprattutto per quanto riguarda i progetti relativi all’imprenditoria femminile e l’accesso al credito, nonché quelli in ambito sociale destinati alle donne, in particolare la cura e la prevenzione della violenza domestica, drammaticamente aumentata durante la crisi Covid.
E’ importante quindi dare evidenza della parità di genere come una priorità esplicita del PNRR, analogamente a come ha fatto ad esempio la Spagna, che l’ha indicata come terza subito dopo la transizione ecologica e la digitalizzazione.
Garantire assoluta trasparenza e gestione nella governance con una partecipazione diffusa delle parti sociali e della cittadinanza
Per valorizzare il contributo delle donne alla crescita del paese, e spendere bene le risorse del PNRR, sarà inoltre indispensabile un nuovo patto di cittadinanza.
L’Italia sta affrontando la crisi Covid con 2.586,5 Miliardi di debito pubblico (Banca d’Italia, Nov.2020), con una evasione fiscale che sottrae ogni anno allo Stato più di 100 miliardi di euro (MEF, 2020), con una presenza di un’economia irregolare e sommersa, se non criminale, che ha avuto fino ad oggi un ruolo importante nel rallentare o bloccare le riforme attese da anni. Rischiamo quindi ora, se falliamo con il PNRR, di caricare sulle future generazioni un peso insostenibile.
L’esigenza di sfruttare al meglio l’opportunità del PNRR ci pone dunque di fronte alla scelta oramai vitale e improcrastinabile di moralizzare la nostra economia, la nostra società e la nostra Pubblica Amministrazione, e questo è un obiettivo che riteniamo raggiungibile solo ed esclusivamente attraverso un’assoluta trasparenza nella gestione e nella governance e una partecipazione diffusa sia delle parti sociali che di tutta la cittadinanza.
Una scelta radicale e drastica si impone in questo senso, perché altrettanto radicale e drastico è lo shock di sistema che il PNRR fissa come obiettivo. Questa forse è la parte più difficile, ma al tempo stesso più entusiasmante, per l’apertura di possibilità che si possono presentare per nuovi soggetti fino ad oggi esclusi, e dunque anche per le donne, per riavviare la mobilità sociale nel nostro paese e colmare le diseguaglianze sociali e territoriali.
Prevedere una governance paritaria
Nell’ambito della definizione della Governance del Piano, chiediamo che vi sia una presenza paritaria a tutti i livelli, non solo per questioni di pari opportunità, quanto di capacità e di diversity. I paesi guidati da donne hanno infatti dimostrato di saper governare meglio le sfide poste dal Covid. La diversa prospettiva delle donne, educate da secoli alla cura delle persone, e abili nell’esprimere un tipo di leadership diversa nei modi e nei valori che è a nostro parere indispensabile anche nella Governance del PNRR. Ovviamente questa decisione non può e non deve andare a scapito delle capacità e delle competenze, ma su tale punto, dati i risultati negli studi e nel lavoro già dimostrati, siamo sicure che non vi saranno problemi a trovare donne meritevoli al di là di stereotipi e pregiudizi che in questo momento non ci possiamo davvero più permettere.
In conclusione:
E’ quindi a nostro parere indispensabile che il PNRR investa in modo consapevole, considerevole e calcolato anche sulle donne, tenendo conto che esse sono poco più della metà della popolazione, dell’elettorato, dei giovani e della popolazione del Meridione. Soprattutto, tenendo conto che ogni indicatore sulla condizione femminile colloca l’Italia agli ultimi posti di qualsiasi classifica europea: un dato che per una volta può essere letto in positivo, dal momento che rappresenta un importante potenziale di crescita economica, anche in termini di PIL.
Grazie ad un PNRR equilibrato, e con una adeguata dotazione di servizi, una quota consistente delle 2,9 milioni di donne (Istat, 2019) attualmente tra i disoccupati e le forze lavoro potenziali potrebbe infatti entrare nel mercato del lavoro e aumentare reddito e consumi, partecipare alla ripresa del paese e contribuire al benessere delle famiglie. Si produrrebbe così anche un effetto moltiplicatore importante: ogni 100 posti di lavoro creati per le donne se ne creano in realtà 115, grazie alla esternalizzazione del lavoro di cura (Banca d’Italia, 2008).
Ristrutturare il mercato del lavoro e il valore delle professioni, garantire percorsi di carriera, migliorare le retribuzioni delle donne produrrebbe inoltre un impatto positivo anche per lo Stato grazie alle maggiori tasse che questo potrebbe riscuotere. Attualmente, infatti, le donne, proprio perché lavorano di meno e fanno lavori meno pagati, versano ad esempio imposte per redditi di persona fisica per 53,8 miliardi di euro, contro i 110,4 versati dagli uomini (MEF, Unico 2019).
Non ci può essere quindi maggiore crescita sociale ed economica senza offrire nuove opportunità a chi fino ad oggi ne è stato escluso. In questo senso, dare opportunità alle donne di ogni età, giovani e adulte, attraverso scelte politiche e investimenti adeguati offre delle possibilità di sviluppo importanti alle quali non possiamo assolutamente rinunciare.
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