
Diciamocelo: è un #8marzo stranito, questo. A leggere i giornali vediamo nel nostro orizzonte un imminente ritorno alla caverna, con tutto questo machismo muscolare in gran spolvero che ogni giorno ci ricorda che la festa della parità è finita.
A guardarci intorno e indietro, stentiamo però a crederlo davvero, che quella è la china che stiamo prendendo.
Per cercare di riprendere un attimo di equilibrio, cerchiamo allora di capire a che punto siamo veramente staccandoci un attimo dalle follie quotidiane e riprendiamo lo sguardo lungo della nostra storia.
Cerchiamo allora di capire dove siamo veramente rispetto a 30 anni fa,
esattamente dalla Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d’azione, che nel 1995 hanno stabilito un’agenda globale per il raggiungimento della parità per donne e ragazze.
Il rapporto “Women’s Rights in Review 30 Years After Beijing”, ha analizzato i dati forniti da 159 governi alle Nazioni Unite, e ha tracciato la situazione e 30 anni da Pechino, sottolineando che da un lato ci sono stati progressi – per esempio, dal 1995 è stata raggiunta la parità nell’istruzione delle ragazze e la mortalità materna è diminuita di un terzo – ma dall’altro una serie di eventi ha rallentato il progresso verso l’uguaglianza di genere: il Covid ha peggiorato le disparità tra uomini e donne.
La crisi climatica secondo il 54% dei paesi rappresenta una barriera importante
per il progresso in futuro e gli investimenti nella lotta alla disuguaglianza di genere sono inadeguati alle sfide future. Ormai è evidente che donne e ragazze sono le più colpite dagli effetti della crisi climatica, e si stima che, nel caso peggiore in termini di evoluzione della crisi climatica, ulteriori 236 milioni di donne e ragazze potrebbero finire in una situazione di insicurezza alimentare.
Abbiamo però anche qualche progresso da riportare:
tra il 1995 e il 2024 sono state attuate circa 1.531 riforme legali per il progresso dell’uguaglianza di genere, ma le donne hanno ancora solo il 64% dei diritti legali degli uomini.
Per quanto riguarda la povertà…sì, è ancora donna:
il 10% delle donne al mondo vivono in famiglie estremamente povere, e la percentuale sale al 24% tra le donne 18-34 anni, che hanno anche le maggiori probabilità di essere madri. Se le cose continuano così, ci vorranno 137 anni per eliminare l’estrema povertà tra donne e ragazze. Le Nazioni Unite riportano che l’attuazione di politiche a favore della parità nei salari, provvedimenti a favore di protezione sociale, e servizi essenziali potrebbero ridurre il numero di donne e ragazze in estrema povertà da 393 milioni a 278 milioni entro il 2050.
Buone notizie sul fronte della presenza in politica:
la proporzione di donne nei parlamenti è raddoppiata dal 1995, ma il 75% dei parlamentari nel mondo sono uomini. Le quote di genere sono state uno strumento importante in questo senso, con un po’ più della metà di paesi nel mondo che hanno passato quote di genere, che di per sé sono efficaci, anche se spesso l’attuazione lascia a desiderare. Siamo ancora abbastanza lontane da sfondare il soffitto di cristallo in politica: solo 87 paesi hanno mai auto una donna leder.
Sul fronte dell’istruzione ci sono stati invece grandi progressi:
praticamente ovunque le ragazze hanno superato gli uomini nell’istruzione secondaria, ma non nell’Africa Subsahariana e in Asia centrale e meridionale. Infine, nel mondo, quasi 60 milioni di ragazze non hanno accesso all’istruzione.
Questi ultimi anni sono stati sfortunatamente caratterizzati da nuovi conflitti,
che hanno comportato anche un aumento del 50% della violenza sessuale, con le donne che sono state il 95% delle vittime di questi crimini. Siamo rimaste indietro sulla partecipazione delle donne ai processi di pace: nel 2023 erano solo il 10% delle negoziatrici, e il 14% delle mediatrici.
Per quanto riguarda invece l’accesso al lavoro,
solo il 63% delle donne tra i 25 ed i 34 anni sono nella forza lavoro, contro, il 92% degli uomini. Anche quando lavorano, hanno maggiori probabilità, rispetto agli uomini, di lavorare nell’economia informale, quindi senza garanzie e benefit. Gli stati non sono stati a guardare, per fortuna, e questo ci pare un mezzo miracolo, di questi tempi: dal 1995 si è passati da 58 paesi che proibivano la discriminazione nel mondo del lavoro a 162.
Le donne continuano però a svolgere più del doppio del lavoro domestico e di cura non pagato,
cosa che ha un impatto negativo delle loro possibilità di lavorare fuori di casa e di guadagnare. Il maggiore carico di lavoro domestico e di cura non pagato rimane un enorme ostacolo all’uguaglianza di genere, e gli investimenti in servizi che possano alleviare questo carico sono fondamentali: secondo le Nazioni Unite investimenti a larga scala in servizi di cura potrebbero generare circa 300 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2035, e con il 78% di questi occupati da donne.
Altra buona notizia: è aumentata a livello globale la proporzione di donne che usano Internet.
passando dal 50% al 65%, ma è anche emersa una nuova forma di violenza online contro le donne: in 12 paesi europei e asiatici, il 53% delle donne online hanno subito almeno una volta una qualche forma di violenza digitale.
Per cercare di accelerare il raggiungimento della parità tra uomini e donne a 30 anni da Pechino, le Nazioni Unite hanno definito sei azioni fondamentali da perseguire:
Non si tratta di niente di rivoluzionario, e niente di nuovo per le femministe che continuano a sottolineare come non ci sia ancora – specie con l’aria di estrema destra che tira nel mondo – abbastanza volontà e investimenti da parte della leadership politica nell’uguaglianza di genere.
Di sicuro, senza impegno politico e senza adeguati finanziamenti sarà però difficile progredire più in fretta vero l’uguaglianza di genere. Ricordiamoci, però, che adesso ci sono oggi molte più donne di prima che hanno responsabilità politica e forza economica, certamente nel mondo più progredito e, si, anche nel nostro paese.
Il cammino verso la parità, insomma, dipende soprattutto da noi, ritrovando un comune sentire, un impegno collettivo che sappia spingere e indirizzare chi una qualche forma di potere o capacità ce l’ha già.
Non tornare indietro ma, anzi, andare avanti anche più spedite si può fare, e ne siamo convinte, basta volerlo tutte insieme impegnandoci sui sei obiettivi delle Nazioni Unite, che, a leggerle, non ci sono mai sembrate così ovvie, eppure, così necessarie e urgenti:
- Per tutte le donne e le ragazze: una rivoluzione digitale
Garantire che donne e ragazze possano godere dei benefici economici della rivoluzione digitale, accedendo a nuove competenze, opportunità e servizi, colmando il divario digitale di genere e fornendo pari accesso alla tecnologia digitale, ai servizi finanziari, ai mercati e alle reti.
- Per tutte le donne e le ragazze: libertà dalla povertà
Affrontare la povertà femminile investendo i bilanci nazionali nella protezione sociale e in servizi pubblici di alta qualità, inclusi la salute delle donne, l’istruzione e l’assistenza alle ragazze. Questi investimenti possono anche creare milioni di posti di lavoro dignitosi e green jobs.
- Per tutte le donne e le ragazze: Zero violenza
Adottare, attuare e finanziare legislazioni per porre fine alla violenza contro donne e ragazze e sviluppare piani d’azione nazionali completi, inclusi supporto e coordinamento con organizzazioni guidate dalla comunità per estendere la portata dei servizi. - Per tutte le donne e le ragazze: Potere decisionale competo e paritario Accelerare il raggiungimento del pieno e paritario potere decisionale delle donne nei settori privati e pubblici e a tutti livelli di governo, anche applicando misure speciali temporanee.
- Per tutte le donne e le ragazze: Pace e sicurezza
Promuovere la responsabilità per l’agenda donne, pace e sicurezza e l’azione umanitaria sensibile al genere adottando piani d’azione nazionali completamente finanziati e finanziando le organizzazioni femminili locali che guidano le risposte alle crisi e ai conflitti. - Per tutte le donne e le ragazze: Giustizia climatica
Dare priorità ai diritti delle donne e delle ragazze, comprese quelle delle comunità rurali e indigene, nella transizione verso la sostenibilità ambientale, centrandole sull’azione per il clima e sulla conservazione della biodiversità, assicurando che possano sviluppare nuove competenze per ottenere lavori verdi e garantire il loro accesso a beni produttivi e diritti fondiari.