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#1maggio: diciamola tutta, su donne e lavoro.

di Giovanna Badalassi | 1 Maggio 2023

#1maggio 2023 lavoro donne

Le ricorrenze come l’#1maggio si sa, sono un’arma a doppio taglio, tra la maggiore attenzione e il rischio di banalità. Sprezzanti del pericolo, proviamo allora a dire la nostra su donne e lavoro, smontando pezzo a pezzo una narrazione collettiva sempre più lontana dalla realtà dei numeri.

Partiamo dal dato principale, il vero elefante rosa nella stanza, come dicono anche le nostre amiche di Alleoop, che si fa troppo spesso finta di non vedere:

Il tasso di occupazione femminile in Italia è il più basso di tutta la UE

Vero. Siamo proprio ultime, che più ultime non si può, dopo 26 paesi. Siamo al 51,1%, l’Europa è al 64,9%, avremmo dovuto arrivare al 60% nel 2010, 13 anni fa, secondo l’obiettivo di Lisbona.

#1maggio
Fonte foto: Eurostat, 2022

Nel Mezzogiorno scendiamo al 34,4% (Istat, 2022), ma anche il virtuoso Nord arriva al minimo sindacale, il 60,8%, comunque ben al di sotto della media UE.

Siamo ultimi anche nella fascia di età più centrale per il lavoro e la famiglia, quella tra i 25 e i 49 anni.

Sarebbe da pensare che è un dato drammatico, considerato che siamo un paese del G7, la seconda manifattura, il terzo PIL della UE, mentre studi di ogni tipo provano che occupazione femminile bassa vuol dire meno PIL, meno produttività, tasse, contributi e pochi figli.

E invece no. Avere donne a casa che non lavorano pare a volte il vezzo di un paese ultra benestante che se lo può permettere, dato che ancora oggi siamo in troppi (e troppe) a pensare che

se le donne stanno a casa fanno più figli #1maggio

Falso per 18 regioni nelle quali si fanno figli solo se le donne lavorano e soprattutto se hanno a disposizione i servizi. Ancora vero solo per due tra le regioni più economicamente arretrate, la Campania e la Sicilia, dove fare figli è ancora l’unica scelta di vita possibile per troppe giovani donne, oltre alla fuga, come le statistiche confermano (sì, ci scordiamo troppe volte che il 48,2% degli expat sono donne).

Basta dirsi con chiarezza che paese vogliamo essere, a questo punto.

#1maggio
Fonte: Ns elaborazione su dati Istat 2021

Perché così tante donne non fanno figli se non lavorano?

Perché occorrono due stipendi per decidere di avere figli. Bastano due semplici calcoli:

175.000€ è quanto costa in media allevare un figlio/a fino a 18 anni (in realtà si va ben oltre i 18 anni, ma facciamo un calcolo di minima). Ammetterete che ci vuole un reddito familiare molto buono e stabile, per decidere di caricarsi praticamente di un altro mutuo.

Quindi, un secondo reddito in una famiglia media è indispensabile perché altrimenti i conti non tornano se consideriamo che:

1.709,56€ di capacità di spesa al mese è la soglia di povertà assoluta per una famiglia di 4 componenti

– 1.838,9€ è il reddito individuale medio di un lavoratore/trice a tempo pieno senza figli (21.319,09€, Eurostat 2020)

– 3.622€ è il reddito familiare medio per una famiglia con 2 minori (43.464€ annui inclusi fitti imputati, Istat 2020)

Condividerete, quindi, che non si può dare torto a molte coppie che decidono di rimandare la maternità finché non ci sono due stipendi in casa, e pure stabili. Ma anche su questo punto il lavoro delle donne è fragilissimo: tra i 15 e i 49 anni sono donne solo il 43,1% dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e ben il 48,8% di quelli a tempo determinato (Istat, 2021).

Un’altra perla dei discorsi sul lavoro delle donne è quella che:

il part-time è un’ottima soluzione per conciliare e permettere alle donne di seguire i figli #1maggio

No. È ottima per tutti, per i mariti, le reti familiari, lo Stato, ma non per le donne.

Attualmente lavorano a part time 3 milioni di donne dipendenti (su un totale di 9 milioni di occupate) e un milione di uomini. Guadagnano troppo poco e poi ne pagano le conseguenze al momento della pensione, con importi mensili bassissimi.

A molte donne, certo, il part time è gradito, soprattutto quando se lo possono permettere economicamente a livello familiare. Per troppe, invece, si pone la questione del part time involontario, che riguarda il 61,1% delle lavoratrici a part time, quindi circa 1,8 milioni di lavoratrici.

Visto che stiamo parlando di soldi, affrontiamo allora l’altro tormentone, quello del gender pay gap.

Le donne sono pagate molto meno degli uomini.

Vero. Però ricordiamoci che chi subisce davvero il gender pay gap sono soprattutto le lavoratrici del settore privato. Secondo i dati Eurostat (2020), l’Italia è quart’ultima per gender pay gap nel settore pubblico (4,1%) e ottava per gender pay gap nel settore privato (20,7%).

Attenzione a collocare bene il concetto di gender pay gap: solo una quota minima è dovuta alla vera discriminazione, il resto è dovuto al fatto che le donne guadagnano meno degli uomini perché fanno lavori in settori economici che pagano di meno, fanno più spesso lavori a part time, non fanno carriera e non fanno straordinari per i noti motivi.

Gran parte della differenza la fa la segregazione orizzontale, ovvero il fatto che le donne lavorano molto di più in settori pagati molto poco, non casualmente settori relativi alla cura delle persone, la sanità, l’Istruzione, o anche solo la relazione con il pubblico, come il commercio e la ristorazione, mentre gli uomini lavorano molto di più in settori con retribuzioni orarie molto elevate come ad esempio la finanza e le assicurazioni, non a caso ambiti dove i soldi generano soldi.

#1maggio

I tempi stanno cambiando ma non è ancora vero, e non lo sarà ancora per parecchio tempo, che

le donne possono fare gli stessi lavori che fanno gli uomini. #1maggio

Certo, le ingegnere sono sempre di più. Ovvio, bisogna impegnarsi per far crescere il numero delle donne STEM nelle scelte di studi e nel mondo del lavoro. Ma più per una questione di offrire una prospettiva di uguali opportunità a tutte e a tutti in lavori qualificati che per pensare di aumentare in pochi anni il tasso di occupazione femminile. Basta guardare al passato: se prendiamo solo i settori che oggi hanno una percentuale di lavoratori uomini superiore al 70% (Agricoltura, Industria estrattiva, Industria manifatturiera, Industria energetica, Acqua e gestione rifiuti, Costruzioni, Trasporto e magazzinaggio), vediamo che la percentuale di lavoratrici occupate è aumentata solo dello 0,4% negli ultimi 10 anni (erano il 22,0% nel 2013 e sono arrivate al 22,4% nel 2022). Per spostare quantità di lavoratrici significative da un settore economico ad un altro ci vogliono insomma decenni.

Il problema della segregazione orizzontale ci fa capire quindi come

il PNRR sia una occasione importante per la crescita e l’occupazione..degli uomini!

Come abbiamo già scritto qui e qui  il PNRR è un investimento infrastrutturale che non investe in modo significativo sui settori nei quali si concentra l’occupazione femminile. Una valutazione del MEF, quindi fonte più che autorevole, ha previsto che “il Piano coinvolge settori caratterizzati da una prevalenza di lavoratori uomini per circa 187,7 miliardi (circa il 79,8 per cento delle risorse)…

Nel PNRR hanno cercato di salvare il salvabile con la clausola di condizionalità, che vuole almeno il 30% delle nuove assunzioni riservato a donne e giovani. Purtroppo manco questa quota, ben lontana dalla parità, pare reggere, visto che le prime analisi sui bandi mostrano che il 69% dei bandi pubblicati ad oggi ha fatto ricorso alla deroga e quindi non ha applicato alcuna quota riservata a donne e giovani.

Certo, c’è la certificazione di genere, che contribuisce a migliorare la cultura di parità nelle aziende, che cambieranno però con i tempi necessari ad ogni tipo di cambiamento culturale.

E insomma, da qualsiasi parte la vogliamo prendere, i problemi del lavoro femminile sono enormi, anche se parliamo di giovani, dato che metà di essi sono pure donne. #1maggio

Che bisognerebbe fare, allora? È la domanda tipica da #1maggio.

Il problema del lavoro femminile in Italia dura da così tanto tempo che ha attraversato governi di ogni colore. Quindi, forse, bisogna andare un po’ più in profondità e ricordarci che l’offerta dei partiti politici su questo tema è sempre stata evanescente, mai nessuno che alle elezioni abbia fatto promesse di piani straordinari di occupazione femminile, per fare un esempio.

Questo perché è oramai chiaro, grazie anche ai sondaggi, che una simile promessa non smuove voti, manco quelli delle stesse donne.

Ci vorrebbe quindi che intanto le donne cominciassero a chiederlo politicamente, il lavoro, di qualità e ben pagato.

E lo dovrebbero chiedere in tante. Quindi pensiamoci bene, a come dare una degna rappresentanza politica al tema del lavoro femminile: siamo più della metà dell’elettorato e se stiamo ancora messe così, forse c’è qualcosa che dobbiamo cambiare noi per prime.

La buona notizia, con la quale si deve chiudere, è però proprio questa: che siamo più della metà dell’elettorato. Possiamo rivoltare il tavolo e cambiare tutto, appena decidiamo di farlo.

Magari prima di 132 anni, eh. #1maggio

Foto di Hannah Busing su Unsplash #1maggio