La maternità e le madri, per buoni o cattivi motivi, spesso sono al centro del dibattito culturale e politico. Ultimamente è stata molto criticata la mercificazione della maternità sui social, con bambini e bambine al lavoro per vendere la qualunque, e si legge spesso della maternità come fonte di ogni male (abbandono del mondo del lavoro, peggiore salute mentale, discriminazione etc etc). Putroppo nelle difficoltà della vita quotidiana e nel dibattito politico si perde un po’ non solo la gioia e la soddisfazione che possono derivare dalla maternità ma anche la sua dimensione politica.
Dire che la maternità è politica significa ribadire che le decisioni politiche influenzano pesantemente l’esperienza della maternità (e della genitorialità in generale): la possibilità di effettivamente diventare madri, il tipo di cure che si ricevono o non si ricevono prima del parto, durante, e dopo, l’assistenza o meno per le madri povere, la possibilità di lavorare una volta rientrate al lavoro, di tenersi il lavoro anche a fronte dell’ impressionante carico domestico e di cura a causa della pandemia e così via.
Non solo, come si vive la maternità e come se ne parla dipende anche dal contesto politico e storico in cui si vive: rivendicare con orgoglio il fatto di essere una madre “terribile” è un’affermazione ricevuta in modo molto diverso – in determinati contesti sociali e culturali -a seconda di chi la fa. Per le madri bianche e di classe media la confessione scherzosa sul magari trascurare un po’ i propri figl* è spesso fonte di simpatia del tipo “ah ah siamo tutte sulla stessa barca”, ma alle madri non bianche e povere non viene estesa la stessa cortesia, a causa di pregiudizi razzisti e classisti.
Inoltre, nel contesto statunitense, per le madri afroamericane, potersi prendere cura dei propri figl* e passare tempo con loro ha un significato molto profondo: l’accudimento viene spesso visto come una forma di riparazione in un sistema che ai tempi della schiavitù privava le madri schiavizzate dei propri figli e figlie e in molti casi le obbligava fare da balia ai figli e figlie dei proprietari delle piantagioni. Ancora oggi, negli USA, sono più i bambini e le bambine non bianchi a venire tolti dalle proprie famiglie, e non tanto per ragioni legate ad abusi, quanto a causa della loro maggiore povertà. E se l’ideale della madre è ancora per molte persone la mamma che sta a casa e non lavora fuori casa, al contrario, per la comunità afroamericana, è visto come assolutamente normale per una madre lavorare fuori di casa – le donne non bianche non hanno mai avuto il lusso di poter non lavorare.
Dire che la maternità è politica signfica anche evidenziare come debba essere ampliata, al di là dei confini familiari e della biologia: Patricia HIll Collins, teorica femminista afroamericana, ha elaborato il concetto di “other mothering”, che implica l’essere madri dei bambini e bambine di una comunità, di prendersi cura – al di là dell’essere o meno madri biologiche, e anche al di là dell’essere donne, del futuro.
L’identità di madre è stata per molte il primo passo per l’attivismo politico e per rivendicare il potere di un gruppo che viene spesso considerato principalmente preoccupato con le minuzie dell’allevare figl*. Negli Stati Uniti nel passato il movimento delle “municipal mothers,” si è impegnato ed ha ottenuto l’istituzione del kindergarten (“anno zero” della scuola elementare statunitense) e dei sistemi di supporto per le madri single. In Argentina le Madri di Plaza de Mayo lottano per conoscere il destino dei propri figli e figlie e poi dei propri nipoti, con le Nonne di Plaza de Mayo. Più recentemente in Gran Bretagna c’è stata la March of the Mummies, una protesta di genitori per, tra le altre cose, i prezzi altissimi dei servizi di assistenza all’infanzia, infine in Texas un gruppo di madri (democratiche e repubblicane) ha dato decisamente del filo da torcere al governatore in carica e alla sua politica pro life.
In un momento storico di crisi a tutto tondo: ecologica, economica, e sociale, è necessario rivendicare la dimensione politica della maternità, non nella direzione di “le madri salveranno il mondo” – no grazie – ma con l’intento di includere coloro che si sentono “solo delle madri” a rivendicare il proprio ruolo, anche se non esclusivo, di madri, e a prendersi spazio e potere nella sfera pubblica.