Venerdì scorso ci siamo ritrovate con le amiche di UDI Genova per un convegno dedicato alla riflessione su come sta cambiando il concetto di “famiglie”, che vogliamo condividere anche qui su Ladynomics.
Per definire cosa sono le famiglie oggi è inevitabile risalire alle origini del termine stesso.
Il dizionario degli etimi ci ricorda infatti che la parola risale ad un termine osco “Faama” che letteralmente si riferisce alla casa e a quella piccola comunità di persone che vive sotto lo stesso tetto, condividendo i beni (economia domestica) e le relazioni umane.
Non si sa di preciso quando l’umanità abbia sentito questo bisogno di condivisione comunitaria, si sa però che la famiglia è una modalità di vita antichissima, al pari del matrimonio. I due concetti comunque non appartengono a due insiemi esattamente sovrapponibili: se tutte le persone all’interno di un matrimonio formano una famiglia, non è vero il contrario. Ci sono infatti molte famiglie nelle quali i componenti non hanno una relazione di carattere matrimoniale tradizionale: pensiamo alle famiglie monogenitore, ai fratelli che convivono, alle famiglie arcobaleno, ai conviventi per qualsiasi altro motivo (sentimentale, di amicizia ecc).
Anche il matrimonio, letteralmente il “compito della madre” è un’istituzione antichissima,
al pari del concetto del patrimonio, letteralmente il “compito del padre”.
Si trovano infatti i primi riferimenti al matrimonio nel codice di Hammurabi del 1700 a.c.
A partire dall’alba dei tempi, dunque, e fino alla fine del 700, quando si è invece diffuso il concetto di matrimonio romantico, il matrimonio, e con esso la definizione di famiglia, è però stato molto diverso da quello che conosciamo oggi.
La storia ci restituisce infatti una dimensione matrimoniale e familiare che se fosse giudicata con i valori e i principi della modernità potremmo definire “barbara”. Nell’antichità infatti il carattere economico prevaleva sui sentimenti, per cui l’assoluto carattere patriarcale della società imponeva matrimoni di interesse, combinati, riparatori, forzati, con la dote o la compravendita, nei quali molto spesso gli sposi si conoscevano a malapena. Se le donne erano costantemente sottomesse al volere e alle decisioni degli uomini, il loro ruolo riproduttivo era assolutamente centrale sia per la trasmissione del patrimonio, per le famiglie più agiate, sia per la produzione di preziose braccia per il lavoro nelle campagne, per le famiglie più povere.
Il numero di gravidanze delle donne, che oggi ci pare inaudito, era motivato non solo dalla mancanza di metodi contraccettivi e dal valore economico e patrimoniale dei figli, ma anche dall’elevata mortalità infantile. Le fonti storiche ci ricordano come il distacco emotivo tra genitori e figli fosse molto forte, e che l’istituto del baliato si rendesse necessario anche per non attaccarsi troppo a figli con elevate probabilità di morte infantile.
Per quelli che sopravvivevano, il rapporto con genitori rimaneva comunque molto distante, con la piena sottomissione psicologica ed economica dei figli, al punto da darsi del voi, cosa per oggi assolutamente impensabile.
Per secoli e secoli, insomma, non è esistita la figura della mamma amorevole e del padre amichevole che abbiamo oggi. Questo per dire che la famiglia e con essa i rapporti familiari sono in continua evoluzione, anche se con tempi molto lunghi che spesso non ce ne fanno rendere conto.
La storia del matrimonio vede questa istituzione cambiare anche sotto il profilo dell’inquadramento giuridico:
Per circa un migliaio di anni il matrimonio è stato quindi considerato dalla Chiesa un patto privato benedetto da un sacerdote. Poi nel 1215 è stato regolamentato negli aspetti giuridici e liturgici durante il Concilio Lateranense IV, mentre è diventato uno dei 7 sacramenti nel 1439 durante il Concilio di Firenze. Il matrimonio civile è stato invece introdotto in Italia solo nel 1866 e il divorzio e la separazione nel 1970.
In tutti questi secoli il matrimonio e con esso la famiglia è quindi cambiato molto.
Si è passati da famiglie estese sia in senso verticale che orizzontale con più generazioni e più legami di parentela che vivevano sotto lo stesso tetto, soprattutto nei contesti agricoli, a famiglie più piccole e con sempre meno figli, soprattutto nei contesti urbani.
I cambiamenti economici hanno avuto un grande impatto nell’evoluzione della famiglia e nelle scelte riproduttive. Se tanti figli rappresentavano la ricchezza di più braccia per l’agricoltura, vivere nelle città e lavorare nella stessa fabbrica per tutta la vita presupponeva famiglie ancora stabili ma più piccole. Oggi, un’economia globalizzata e precaria nel lavoro presuppone una famiglia ancora più leggera e pronta alla costruzione ed alla distruzione dei legami: il turbocapitalismo propone infatti una visione della società dove il singolo individuo prevale sulla dimensione sociale e comunitaria, anche la più piccola quale può essere quella familiare.
E arriviamo quindi all’oggi.
L’Italia sta seguendo le dinamiche demografiche proprie di tutti i paesi occidentali che condividono lo stesso modello economico,
con le aggravanti di uno stato inefficiente e di una instabilità sociale, politica ed economica che rendono ancora più considerevoli le tendenze all’invecchiamento, alla diminuzione delle nascite, al decremento demografico e alla contrazione del modello familiare basato sul matrimonio.
Il matrimonio infatti è un’istituzione che in Italia sta conoscendo una forte crisi.
Secondo i dati Istat, ci si sposa di meno (nel 2018 si sono avuti in Italia 191 mila matrimonio contro i 248 mila del 2004) e ci si separa di più (89 mila separazioni nel 2014 contro 84 mila nel 2008). A tale crisi, certamente esasperata dalle difficoltà economiche e dall’insufficienza dei servizi, si aggiunge l’onda lunga del decremento demografico delle generazioni precedenti, che fa sì che tra il 2008 e il 2017 le potenziali madri, le donne tra i 15 e i 49 anni, siano state in Italia 900 mila in meno. Si fanno quindi meno bambini in senso assoluto (-45 mila bambini tra il 2014 e il 2017 e -120 mila tra il 2008 e il 2017) e in senso relativo: anche le madri che fanno figli ne fanno comunque sempre di meno, dato che l’indice di fecondità è di 1,35 figli per donna contro l’1,58 della media UE.
Ne consegue che il matrimonio tradizionale, oggi, in Italia, non è più quel pilastro familiare e sociale che era una volta, ma rappresenta solo uno dei diversi legami che si possono trovare nelle famiglie.
Una valutazione, questa, sostenuta dai dati Istat dell’Annuario Statistico Italiano sulla famiglia.
In Italia c’erano infatti 25 milioni 700 mila famiglie nel biennio 2017-2018, un dato in continuo aumento (+ 200 mila nel biennio precedente, +4 milioni negli ultimi 20 anni) perché le famiglie si stanno continuamente rimpicciolendo e frammentando: il numero medio dei componenti della famiglia era infatti di 2,3 persone nel 2017-2018 mentre nel 1997-1998 era di 2,7.
Le famiglie composte da uno o due componenti erano il 60% del totale (le sole famiglia unipersonale, cioè che chi vive da solo erano il 33,0% contro il 21,5% del biennio 1997-1998). Le famiglie con almeno quattro componenti erano invece il 20,4% del totale delle famiglie.
Guardando alle tipologie familiari vediamo ancora come il 63,2% di famiglie sono formate da un solo nucleo, soprattutto le coppie con figli,
che rappresentano il 33,2% del totale delle famiglie, mentre le famiglie monogenitoriali, nelle quali un genitore vive da solo con uno o più figli, sono quasi il 10%, soprattutto se madri (8,1%), molti meno se padri (1,8%).
Ribaltando la prospettiva e non guardando più ai numeri delle famiglie ma ai numeri delle persone che vivono in una dimensione familiare, non cambiano di molto le proporzioni: una persona su tre vive infatti con il ruolo di genitore in famiglie composte da un solo nucleo
Se osserviamo poi come varia la condizione familiare delle persone nell’ambito del loro ciclo di vita
ci rendiamo ulteriormente conto del dinamismo del concetto di famiglia anche sotto questo punto di vista: l’83,2% delle persone fino ai 17 anni vive con entrambi i genitori in condizione di figlio/a, l’11,8% con un genitore solo. Tra i 18 e i 34 anni vi è una situazione più diversificata poiché si comincia ad uscire dalla famiglia di origine: se il 60% vive ancora in famiglia con uno o due genitori, il 23,9% comincia a formarsi una famiglia propria, con figli (15,2%) o ancora senza (7,9%). Tra i 35 e i 54 anni prevale la dimensione genitoriale di coppia con figli (56,3%), mentre tra i 55 e i 64 anni le persone sono ancora genitori con figli ma in misura minore (43,5%), mentre aumentano le persone in coppia con figli (26,1%), o perché non ne hanno avuti o perché sono usciti di casa. Una dimensione, quest’ultima, che sale al 43,2% per le persone con più di 65 anni, fascia di età nella quale aumentano in misura considerevole le persone che vivono da sole (29,6%).
Un mito del nostro immaginario collettivo che bisogna ancora sfatare riguarda infine la famiglia tradizionale formata dalla coppia con due figli nella quale lavora solo il padre mentre la madre è casalinga.
Si tratta infatti di un modello minoritario e residuale che non può essere preso a unico paradigma sul quale basare le politiche sociali e per la famiglia. Su 25 milioni di famiglie, infatti, solo 2,9 milioni (11%) sono le famiglie formate da genitori con figli nelle quali la madre non lavora, ben di più (3,8 milioni, il 14,9%) sono invece le famiglie composte da coniugi conviventi e figli con la madre che lavora.
D’altronde, con la situazione attuale di compressione del costo del lavoro, che soprattutto in Italia è diventato uno strumento di competitività per le aziende,
avere due redditi in famiglia è condizione indispensabile per fare dei figli senza rischiare di avvicinarsi pericolosamente alla soglia di povertà.
Bastano pochi numeri per rendersene conto: se la soglia per la povertà assoluta per una famiglia di 4 persone di cui due minori è stimata dall’Istat in 1.737 euro di consumi al mese, e se il reddito netto medio mensile di un dipendente è di circa 1.400 euro al mese mentre il reddito complessivo di una famiglia con due minori è di 3.073 euro al mese, si comprende bene come due stipendi siano assolutamente necessari.
Non è un caso infatti che, sempre secondo l’Istat, il rischio di povertà per le famiglie monogenitore (tra le quali le donne capofamiglia rappresentano l’83%) arrivi al 27,1% contro il 19,1% del rischio di povertà delle famiglie in coppia con figli.
Come vediamo i cambiamenti sociali ed economici che stiamo vivendo influenzano notevolmente anche le dinamiche familiari e la scelta del tipo di famiglia nella quale vogliamo vivere: andare a vivere da soli, sposarsi, convivere, fare o meno figli sono infatti decisioni pesantemente influenzate dalla condizione economica e dalla disponibilità di servizi adeguati.
Nel processo decisionale relativo alle scelte familiare la politica può quindi intervenire per provare almeno a contenere quelle tendenze al decremento demografico che nei prossimi anni produrrà problemi di carattere economico e sociale sempre più pesanti.
Meno bambini significa infatti non solo una società meno dinamica ma anche meno forza lavoro, meno pensioni, un elettorato statico e rassegnato, un orizzonte breve e una progressiva perdita di speranza collettiva.
D’altra parte, la numerosità di altri modelli familiari impone una visione sociale e di intervento improntata alla composizione di risposte politiche articolate e complesse in grado di contribuire al benessere di tutte le tipologie familiari.
La politica può infatti fare molto, anche se certamente non può invertire dinamiche globali ed epocali, ma ad oggi non ha mostrato di porre simili questioni tra le priorità di intervento.
Siamo però fiduciose che una maggiore partecipazione e condivisione collettiva siano chiavi di cambiamento importanti per indirizzare le politiche e le scelte comuni verso la direzione non solo di una crescita economica ma anche di un maggiore benessere collettivo.